Ente

Universita’ della Calabria

Struttura

Dipartimento di Ingegneria Civile

Titolo

Un sistema semaforico adattivo attivato da veicoli strumentati

Autore

Mario Orlando Rotella

Relatore

Prof. Ing. Giuseppe Piero Guido

Correlatore

Prof. Ing. Vittorio Astarita

Dott. Ing. Vincenzo Pasquale Giofrè

Anno Accad.

2017 - 2018



 

SOMMARIO

 

Introduzione  4

Capitolo 1: Le intersezioni semaforizzate  11

Calcolo del ciclo semaforico  11

Capacità, ritardi e LOS  18

Capitolo 2: I semafori adattivi  23

Livello di dettaglio del controllo del traffico  23

Funzionamento di base  24

Tecnologie di rilevamento del traffico veicolare  24

Il rilevamento con tubi pneumatici 25

Il rilevamento con cavi triboelettrici 27

Il rilevamento con spire induttive. 29

Il rilevamento con sensori magneto-dinamici 34

Il rilevamento con sensori a microonde  36

Il rilevamento con sensori a raggi infrarossi 39

Il rilevamento con sensori WIM. 41

Il rilevamento con sensori acustici. 45

Il rilevamento con immagini video  48

Capitolo 3: Le architetture di controllo semaforico   52

Il sistema SCATS  52

Funzionamento  52

Filosofia di funzionamento  53

Dati richiesti 53

Architettura  54

Il sistema SCOOT   54

Funzionamento  55

Filosofia di funzionamento  56

Dati richiesti 56

Architettura  56

Il sistema InSync  57

Funzionamento  57

Architettura  58

Dispositivi di rilevamento  58

Apparati fisici 59


 

 

 

Capitolo 4: Proposta di un nuovo sistema semaforico adattivo   60

La scelta del dispositivo di comunicazione  60

La tecnologia GPS  68

La connessione alla rete  71

L’Internet on Things  72

Il funzionamento del sistema  74

La progettazione del sistema  75

Gli smartphone  76

Le lanterne semaforiche  77

Il server centrale di controllo  78

Capitolo 5: Test del sistema in ambiente virtuale  80

Le strategie di controllo dei semafori adattivi 80

Simulazione in ambiente virtuale e analisi delle prestazioni di un sistema semaforico adattivo attivato da veicoli strumentati 83

Caratteristiche della simulazione  83

Simulazione e presentazione dei risultati 86

Distribuzione 50% - 50%: confronto tra gli scenari e osservazioni 89

Distribuzione 70% - 30%: confronto tra gli scenari e osservazioni 94

Conclusioni  102

Ringraziamenti  105

 

 


Introduzione

 

Nella storia dell’uomo, è sempre esistita una correlazione fra la crescita economica e la trasformazione dei beni di lusso in beni primari. Specialmente nell’epoca immediatamente successiva alla Seconda Guerra Mondiale, l'enorme incremento della qualità della vita ha aperto un enorme ventaglio di nuove opportunità per l'uomo, apportando una significativa rivoluzione nella vita quotidiana della sfera privata: nuovi impegni per raggiungere nuovi standard di produttività, ma anche più interessi personali, accompagnati dalla disponibilità di mezzi fisici che in precedenza erano esclusivi per pochi, mentre in seguito sarebbero diventati alla portata di molte più persone, fino a diventare di uso comune nonché parte integrante della vita di tutti i giorni.

Fig. I.1 - La Ford Model T, la prima automobile
 della storia prodotta in grande serie
L'automobile è uno dei simboli più rilevanti dell'evoluzione tecnologica, di cui l'esserne una delle fautrici si è contemporaneamente ripercosso sulle conseguenze dirette di cui ne ha fatto parte essa stessa, entrando di fatto in un circolo vizioso che ne alimentava continuamente gli effetti; ben presto a disposizione della famiglia di medio ceto sociale, consentì la rimozione dei vincoli legati alla distanza, "avvicinando" destinazioni che precedentemente erano fuori portata per tempo e flessibilità.

Lo sviluppo sempre crescente, però, ha ulteriormente incrementato i bisogni dell'uomo; in ambito familiare, più di un componente cominciava ad avere esigenze differenti negli stessi momenti della giornata. Questo, unitamente al costo sempre più accessibile delle automobili, spinse le famiglie ad acquistare e possedere più di un veicolo.

Fig. I.2 - Il traffico in piazza San Babila, a Milano, negli anni '20Così, nacquero i primi problemi sulla circolazione stradale. Le strade, originariamente pensate per un passaggio veicolare di esigua entità, cominciarono a non soddisfare più la sempre crescente domanda di spostamento, che quindi finì inevitabilmente per causare i disagi di cui siamo ben a conoscenza tutt'oggi, il ben noto "traffico" di cui ne accusiamo gli effetti negativi quotidianamente: ritardi, inquinamento atmosferico e acustico, stress e inefficienza di attività e servizi. Inoltre, le prestazioni sempre crescenti dei propulsori hanno influito negativamente sulla sicurezza stradale.

Il cuore del problema è sempre stato rappresentato dalle intersezioni stradali, dove si concretizzano i punti di conflitto tra due o più correnti veicolari.

La necessità di applicare rimedi per provare a eliminare o quantomeno attenuare questi inconvenienti si tradusse nella valutazione di soluzioni che prevedessero interventi sulla riorganizzazione della circolazione viaria (ad esempio si rivalutò pesantemente la figura del trasporto pubblico urbano) e sui sistemi fisici (quali l'allargamento della sede stradale); le operazioni su questi ultimi, però, sono state soggette a vincoli spaziali non indifferenti, dato che l'assetto ormai definito delle città, soprattutto nelle zone centrali, ha limitato manovre progettuali di una certa rilevanza.

Fig. I.3 - Uno dei primi semafori elettrici, nel ClevelandPerciò, cominciò a diffondersi prepotentemente l'utilizzo del semaforo, un dispositivo ideato a Londra in realtà nell'ultima parte del diciannovesimo secolo, ma mai effettivamente diffusosi attivamente a causa del funzionamento non certo idoneo all'uso intensivo (era costituito da una lanterna a gas) e di un'utilità tutto sommato relativa per l’epoca; ma, con la necessità di regolamentare il flusso veicolare, unitamente all’espansione e alla disponibilità più capillare dell'energia elettrica, l'utilizzo della segnaletica luminosa cominciò a propagarsi e ad evolversi, introducendo ben presto il giallo, le indicazioni per la distinzione di singole manovre per flussi veicolari aventi stessa provenienza e l'integrazione con l'eventuale attraversamento pedonale.

In seguito a questi step, avvenuti in realtà molto rapidamente, non sono però più stati introdotti elementi "accessori" nettamente migliorativi e capaci di imporsi fino a diventare uno standard; magari è possibile trovare segnalizzazioni a 4 aspetti (ad esempio il verde lampeggiante, o il rosso combinato col giallo), oppure un time-out visibile prima del cambio di fase, ma si tratta comunque di casi isolati.

 

 

Fig. I.5 - Semaforo pedonale con time-out per il cambio faseFig. I.4 - Semaforo con indicazioni dedicate per manovra

 

Di recente, si è tornato a volgere lo sguardo verso un'evoluzione più netta, verso un futuro che possa garantire alla segnaletica luminosa un'efficacia molto più marcata: la sempre più consistente circolazione ha, infatti, inevitabilmente vanificato le funzioni di miglioramento del deflusso veicolare del semaforo, relegandolo di fatto unicamente a salvaguardare la sicurezza nelle intersezioni di una certa rilevanza; le ridotte prestazioni dovute a una domanda di traffico intensa ed estremamente variabile, non solo nell'arco di una giornata, ma anche di una sola ora, hanno spinto la ricerca verso soluzioni atte a riprendere in mano un appropriato controllo del traffico. La concezione in assoluto più tradizionale, più nota e più diffusa della segnaletica luminosa è associata a un ciclo semaforico costante nel tempo, regolato sulla domanda media giornaliera (e magari "data per buona" per anni quando in realtà è sufficiente qualche apparentemente piccola variazione sulla rete stradale o un nuovo polo di domanda a influire pesantemente sulla domanda di trasporto) o al limite costruita sull'ora di punta, e quindi incapace di garantire buone performance per tutto l'arco della giornata, oltre che di far fronte a eventi occasionali e inattesi quali, ad esempio, i sinistri stradali; non si ha insomma un livello di dettaglio in grado di tener conto di qualsiasi situazione e funzionare adeguatamente 24 ore su 24.

Lo scenario da rincorrere ha quindi come obiettivo primario l'adattamento a ogni condizione di traffico possibile, garantendo massima elasticità anche contro le più piccole variazioni di flusso veicolare: nasce così l'idea della regolazione in tempo reale del ciclo semaforico, attenendosi sul rilevamento della distribuzione veicolare istantanea. Tutto ruota intorno a dei sistemi in grado di rilevare l'eventuale presenza e relativa quantità di veicoli in un tronco stradale e in prossimità dell'intersezione, e sul confronto dei dati con quelli degli altri tronchi stradali che confluiscono nella stessa intersezione; dalla distribuzione di traffico rilevata, si calcolano in tempo reale i cicli semaforici ideali per le condizioni di traffico di quella precisa finestra temporale. Com'è facile intuire, l'efficacia di questo meccanismo esula dagli eventuali e incontrollabili squilibri di flusso veicolare.

Esistono già alcuni sistemi che hanno trovato delle applicazioni pratiche, seppur ben lontani dall'essere largamente diffusi. Il caso più noto è quello delle spire induttive, che consistono in materiale conduttore percorso da corrente alternata annegato nella pavimentazione stradale; l'induttanza del campo magnetico generato è ridotta dal campo magnetico (in direzione opposta) dovuto al passaggio dei veicoli sopra quella stessa porzione di pavimentazione stradale. Un altro sistema, anche se meno utilizzato, prevede l'utilizzo di sensori basati su funzionamento a raggi infrarossi. Gli svantaggi, però, non mancano, e spaziano dall'imprecisione del conteggio stesso in condizioni di traffico intenso, ad un funzionamento irregolare in caso di condizioni meteorologiche avverse.

Tuttavia, il futuro si sta proiettando verso sistemi di natura completamente diversa, una natura meno “fisica” ma in grado di sfruttare a proprio vantaggio l’immenso potenziale informatico user-friendly sviluppatosi nell’ultimo decennio. Le nuove tecnologie del settore mobile saranno la chiave: al giorno d’oggi, nella tasca dei pantaloni disponiamo di un insieme di tecnologie di cui fino a qualche anno fa si dava per scontata la presenza esclusiva su dispositivi fissi; adesso, grazie agli smartphone, a Internet che praticamente è “nell’aria” e alla connessione ai servizi di geolocalizzazione che non è più esclusiva delle automobili, si hanno un mare di opportunità a disposizione in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Ormai i dispositivi portatili sono un concentrato di tecnologia alla portata di tutti, con potenzialità immense presenti anche sugli hardware più deboli. Si punta a integrare tutto ciò in un sistema unico che consenta di perseguire l’obiettivo, specialmente alla luce di un’interazione “silenziosa” fra i dispositivi che ne farebbero parte, plasmando così un’infrastruttura propedeutica allo scopo. L’idea prevede lo sfruttamento dei servizi di connessione alla rete Internet e di geolocalizzazione del veicolo (nell’insieme chiamati FCD, acronimo di Floating Car Data) tramite lo smartphone dell’utente della strada (appositamente connesso); sarà poi un’apposita applicazione a gestire i dati, mentre un algoritmo ricaverà i cicli semaforici ideali coi quali regolare l’impianto nel suo complesso. La situazione ideale prevede che tutti i veicoli siano pilotati da utenti con l’applicazione in esecuzione sul proprio smartphone, ma nella realtà la situazione è ben diversa, dato che solo una piccola parte ne è provvista. Nel futuro, comunque, è previsto che i costruttori di automobili dotino già i loro veicoli di apparati in grado di replicarne le funzioni, quindi senza che l’utente debba usare l’applicazione sul dispositivo mobile personale e incrementando di conseguenza il tasso di penetrazione del sistema.

Nel mondo, sono già disponibili infrastrutture di questo tipo in grado di raccogliere questi dati, anche per altre funzioni, è rarissimo però che essi siano a disposizione del settore amministrativo della città. Centri urbani come Santander, però, hanno anticipato i tempi, cominciando a proporre concretamente un modello di Smart City: esiste già una piattaforma software per i dispositivi mobili con sistema operativo OS e Android che connettono il cittadino alla città, quindi vengono comunicati la situazione del traffico, le condizioni atmosferiche, lo stato dei servizi e degli esercizi pubblici, tutto in tempo reale; oltre a ciò, un’apposita interfaccia consente la comunicazione inversa per permettere all’utente di esprimere dei feedback utili all’amministrazione comunale e anche agli altri cittadini. Le informazioni provengono da una serie di sensori discreti disseminati per la città e da apposite scatole nere applicate negli autobus della linea urbana, ai taxi e anche alle automobili delle forze dell’ordine. Queste ultime, inoltre, sono talmente preziose per la conoscenza dello stato della rete viaria che è stata sviluppata un’ulteriore applicazione esclusivamente dedicata alle indicazioni riguardanti il trasporto pubblico su gomma, grazie alla quale è possibile esaminare le linee e i tempi di attesa; per di più, una comoda mappa consente l’individuazione delle fermate con le relative informazioni e anche delle stazioni dei taxi.

 

Fig. I.7, I.8 - Schermate dell'applicazione riservata al trasporto pubblico di SantanderFig. I.6, I.7 - Schermate dell'applicazione della smart city di Santander

La città è inoltre fornita di un inedito sistema di affitto di biciclette, da prendere e rilasciare in apposite stazioni provviste di agganci. La totalità dei dati recuperati viene raccolta, analizzata e processata nel laboratorio del Dipartimento di Trasporti dell’università presente in città (l’Universidad de Cantabria).

Lo sviluppo dei FCD consente di ricavare dati utili anche all'ottenimento di altre informazioni, sia per l’amministrazione cittadina sia per l’utente della strada stesso: gradi di penetrazione relativamente bassi sono sufficienti per fornire ottime indicazioni riguardo eventuali comportamenti non idonei alla guida, detenzione di sinistri stradali e informazioni generali sul traffico e tempi di viaggio.

Gli impianti di regolazione semaforica tramite FCD possono anche funzionare in combinazione con i sistemi tradizionali di regolazione (quali le spire induttive e i sensori a infrarossi), ma in tal caso, seppur elaborando dati generalmente più accurati e lavorando quindi con più precisione rispetto ai sistemi che operano senza l’ausilio degli apparati fisici, va considerato il costo dell’infrastruttura su strada.

La chiave del funzionamento del sistema è un apposito algoritmo che, una volta ricevuti i dati dalle automobili, consente di ricavare il miglior ciclo semaforico per quella determinata situazione di traffico; in fase di progettazione, si valuta l’efficacia del nuovo ciclo calcolato con l’algoritmo andando a simulare le prestazioni dell’intersezione così caratterizzata e paragonandole a quelle in cui opera il ciclo semaforico originario.

L’infrastruttura è composta da:

·         Sistemi di geolocalizzazione GNSS (Global Navigation Satellite System) e di una connessione alla rete per la trasmissione e ricezione dei dati a bordo dei veicoli (tramite smartphone dell’utente o a bordo del veicolo stesso); nei luoghi senza copertura, la posizione viene rilevata in locale da un apposito ricetrasmettitore che comunica con la vettura su rete wireless (preferibilmente Bluetooth grazie alle sue esigenze energetiche molto contenute), e a sua volta trasmette le informazioni sulla posizione delle automobili nel suo raggio di copertura.

·         Server centrale, nel quale vengono raccolti i dati e calcolato il nuovo ciclo semaforico sulla base dell’algoritmo utilizzato.

·         Semafori.

·         Centraline per i semafori.

 

Nel processo simulativo, va tenuto in considerazione un ulteriore aspetto molto importante che riguarda le imprecisioni sulla rilevazione della posizione: la non assoluta precisione degli odierni servizi di geolocalizzazione ad accesso pubblico, oltre alla numerosa presenza di zone in cui il segnale satellitare è di bassa intensità, impone l’introduzione arbitraria dell’errore GNSS, col quale viene replicata più fedelmente la situazione reale; un apposito algoritmo andrà poi a “correggere” tale errore per restituire la posizione che l’intero sistema andrà effettivamente ad utilizzare.

Qualora non vengano rilevati veicoli in prossimità dell’intersezione, per un black-out temporaneo del sistema o per assenza prolungata di veicoli connessi al sistema, il ciclo semaforico viene riportato ai valori originari.

Una notevole importanza è rivestita dal tasso di penetrazione dell’applicazione nei dispositivi smart degli utenti della strada: le simulazioni dimostrano che con un tasso di penetrazione esiguo i semafori andranno a “premiare” e privilegiare gli utenti che usufruiscono di questo sistema, e avranno quindi la priorità di verde all’intersezione. Al crescere del numero degli utenti, invece, il sistema organizzerà in maniera più efficace ed equa tutti gli impianti semaforici dell’intersezione, minimizzando il tempo di verde dove ci sono realmente pochi veicoli e allungandolo dove ce ne sono di più, garantendo un beneficio a tutti gli utenti e in generale all’economia dell’intera intersezione: con un buon tasso di penetrazione è infatti molto probabile che esistano veicoli connessi al sistema anche in piccole ondate veicolari.

 


Le intersezioni semaforizzate

 

La necessità di regolamentare l’ordine di attraversamento delle intersezioni, assegnando intervalli di tempo a ciascun gruppo di manovre compatibili tra loro, migliora le performance sia dal punto di vista del tempo di percorrenza (specialmente nei centri urbani) sia da quello della sicurezza (notevolmente migliorata in strade a scorrimento veloce).

Il criterio secondo cui il progettista determina la tipologia di intersezione è puramente frutto della sua valutazione, seppur esistano delle linee guida nelle normative di vari paesi, ad esempio talvolta si ricorre all’utilizzo di segnaletica luminosa al posto di quella tradizionale nelle intersezioni caratterizzate da almeno cinque incidenti nel corso dell’ultimo anno.

Una buona regolazione del ciclo semaforico è alla base di un impianto capace di garantire un adeguato rendimento. In base alla tipologia di regolazione, si possono distinguere due differenti classi di impianti semaforici:

·         Impianti a ciclo fisso, in cui il ciclo semaforico è preimpostato, restando invariato nel tempo. È generalmente utilizzato in caso di domanda pressoché costante, ma talvolta deve adattarsi a situazioni variabili, specie in caso di incroci ravvicinati; tuttavia, talvolta si adoperano due cicli differenti, ma comunque preimpostati, per meglio adattarsi alle ore di punta e a quelle di morbida.

·         Impianti attuati dal traffico, dipendenti dai flussi di traffico misurati in tempo reale, e dotate quindi di installazioni addizionali di una certa complessità operativa; a loro volta si distingue la loro gestione a livello di una sola intersezione o a livello di rete, in cui il controllo veicolare si estende fino a coprire una determinata porzione della rete stradale.

 

 

Calcolo del ciclo semaforico

 

La progettazione del ciclo semaforico di un’intersezione si conclude con l’avvenuta individuazione dei tempi di rosso, giallo e verde di ogni lanterna che opera per lo stesso impianto.

È inizialmente prevista la determinazione del numero di fasi caratterizzanti il ciclo e l’assegnazione delle manovre ad esse; congiuntamente, si individuano le manovre compatibili tra di loro, in modo da poter dare il via libera a una o più manovre in una stessa fase (manovre protette); sebbene dal punto di vista della sicurezza la situazione migliore sia quella di escludere ogni possibile punto di conflitto tra due manovre, specie in caso di presenza di attraversamenti pedonali, è talvolta ammissibile l’assegnazione di due manovre non compatibili tra loro durante una stessa fase (manovre non protette o permesse), in modo tale da ottimizzare le prestazioni riguardanti il deflusso veicolare.

Si chiariscono ora i significati di alcune terminologie che si presenteranno in seguito:

·         Ciclo semaforico (C), definito come la durata di una sequenza completa verde-giallo-rosso.

·         Tempo di verde (V), definito come la durata del segnale luminoso verde di una specifica lanterna, durante il quale i veicoli sono autorizzati a realizzare la relativa manovra.

·         Tempo di giallo (G), definito come la durata del segnale luminoso giallo, durante il quale i veicoli che hanno già impegnato l’intersezione e quelli che non sono in grado di fermarsi in condizione di sicurezza prima della linea d’arresto disegnata al termine del ramo stradale che si immette nell’intersezione (ovvero che dovrebbero ricorrere a una frenata particolarmente brusca per arrestare in tempo la propria marcia) devono terminare la propria manovra e disimpegnare l’incrocio al più presto, mentre i veicoli ancora in circolazione sull’arco e che sono in grado di fermarsi in condizioni di sicurezza devono attendere il verde successivo.

·         Tempo di rosso (R), definito come la durata del segnale luminoso verde di una specifica lanterna, durante il quale i veicoli in circolazione sul relativo arco non possono attraversare l’intersezione.

·         Tempo di tutto-rosso (TR), durante il quale tutte le lanterne dell’intersezione segnano rosso.

·         Interverde (Y), definito come la somma dei tempi di giallo e di tutto-rosso.

·         Estensione del verde (e), definito come l’aliquota del tempo di giallo durante la quale i veicoli sull’arco impegnano l’intersezione non essendo in grado di arrestarsi in condizione di sicurezza.

·         Perditempo all’arresto (t1), definito come l’aliquota del tempo di giallo durante la quale, al contrario della precedente, i veicoli che non attraversano l’intersezione sono in attesa del rosso.

·         Perditempo all’avviamento (t2), definito come il tempo perso dai primi veicoli in coda compreso fra lo scatto del verde e l’effettiva ripresa della marcia; è assimilabile al concetto di tempo di percezione-reazione.

·         Perditempo (P), definito come il tempo dato dalla somma del perditempo all’arresto e del perditempo all’avviamento.

·         Verde efficace o effettivo (VE), definito come il tempo durante il quale i veicoli attraversano la linea d’arresto.

·         Rosso effettivo (RE), definito come il tempo durante il quale i veicoli sono fermi sull’arco.

·         Rapporto di verde (RV), definito come il rapporto tra il verde efficace e la durata del ciclo semaforico.

 

Ne segue che:



 

Il tempo di tutto-rosso ha la funzione di permettere ai veicoli che non sono stati in grado di fermarsi in condizioni di sicurezza al giallo di sgomberare l’incrocio in maniera protetta, senza cioè che i veicoli sull’arco a cui verrà dato il seguente via libera possano interferire col loro passaggio, generando quindi punti di conflitto; l’interverde è la somma tra il tempo di tutto rosso e il giallo, ovvero il tempo che passa dallo spegnimento del verde di una lanterna all’accensione del verde della lanterna successiva.

 

Si determina tramite:

 

In cui:

·         tpr è il tempo di percezione e reazione, compreso tra 1 sec e 1,5 sec.

·         v è la velocità di approccio all’intersezione, espressa in metri al secondo.

·         d è la decelerazione, pari a circa 2÷2,5 m/sec2.

·         L1 è la lunghezza della manovra nell’area dell’intersezione.

·         L2 è la lunghezza media di un veicolo, pari a circa 5 m.

·         v1 è la velocità media con cui si percorre la traiettoria L1, pari a circa 5÷10 m/sec.

 

Le norme tecniche, così come d’altronde il manuale americano HCM, indicano una durata del giallo pari a 4 secondi; si determina di conseguenza il tempo di tutto-rosso come differenza tra interverde e tempo di giallo.

Si può successivamente procedere col calcolo del ciclo semaforico e la ripartizione nelle sue fasi.

Considerando un ciclo a due fasi si ha:

 

Dato che:

   ;                        ;             

 

Si ha:

Þ         

 

In base a dati sperimentali, si possono assumere i perditempo pari a 4÷5 sec ciascuno.

Si determinano ora i tempi di verde efficace, che devono essere in grado di smaltire i flussi in arrivo:

 

In cui:

·         Qi è il flusso di veicoli sull’arco, espresso in veicoli all’ora.

·         FSi è il flusso di saturazione, ovvero la minima portata veicolare sull’arco che genera congestione nell’ipotesi di verde continuo.

Il valore di questa grandezza deriva da una moltitudine di fattori, la cui valutazione complessiva risulta estremamente complessa; non a caso, esistono varie formulazioni di natura sperimentale atte a individuarla, a testimonianza dell’elevata casualità cui è soggetto dovuta al grande numero di variabili in gioco. È qui proposta una formulazione che parte da un flusso di saturazione noto per condizioni stradali estremamente favorevoli per i veicoli, che è poi moltiplicato per una serie di fattori correttivi che tengono conto del caso reale:

 

In cui:

·         FS0 è il flusso di saturazione in condizioni ideali: larghezza corsia/e 3,60 m, piattaforma stradale pianeggiante, assenza di veicoli pesanti, assenza di parcheggi e di fermate di mezzi pubblici fino a 75 m a monte dell’imbocco dell’intersezione, lontananza dal centro degli affari, traffico equamente suddiviso fra le corsie (in caso di due o più corsie), assenza di svolte a destra e a sinistra, assenza di disturbo di pedoni e biciclette; si assume un valore pari a 1900 veic/h/corsia.

·         N è il numero di corsie del ramo stradale oggetto di studio.

·         fb è il coefficiente correttivo che tiene conto della larghezza della/e corsia/e, pari a:

 

In cui b è la larghezza della corsia, usualmente maggiore di 2,40 m; laddove sia addirittura maggiore di 4,80 m si considerano due corsie (imponendo quindi la suddivisione della corsia esistente).

·         ftp è il coefficiente correttivo che tiene conto della presenza dei veicoli pesanti, pari a:

 

In cui P è la percentuale di veicoli pesanti e ET è un valore da assumere pari a 2.

·         fi è il coefficiente correttivo che tiene conto della pendenza della piattaforma stradale, pari a:

 

In cui i è la pendenza della rampa di accesso.

·         fp è il coefficiente correttivo che tiene conto della presenza di parcheggi, pari a:

 

In cui N è il numero di corsie e Nm è il numero delle manovre di parcheggio in un’ora; in caso di assenza di parcheggio, fp è uguale a 1.

·         fB è il coefficiente correttivo che tiene conto della presenza di fermate di autobus, pari a:

 

In cui N è il numero di corsie e NB è il numero delle fermate in un’ora.

·         fa è il coefficiente correttivo che valuta l’influenza della tipologia d’area, pari a 0,9 nel centro degli affari, 1 altrove.

·         fu è il coefficiente correttivo che tiene conto della ripartizione non uniforme dei veicoli nelle corsie, pari a:

 

In cui Qg è il tasso di flusso per le corsie, Qg1 è il tasso di flusso per la corsia più carica, e N è il numero di corsie.

·         fD è il coefficiente correttivo dedicato alle svolte a destra, pari a:

                                                              

 

In cui PD è la frazione di veicoli nelle corsie che svoltano a destra.

·         fS è il coefficiente correttivo dedicato alle svolte a sinistra, pari a:

                                        

 

In cui PS è la frazione di veicoli nelle corsie che svoltano a sinistra. Queste due formulazioni si riferiscono alle svolte a sinistra protette, ovvero bloccando le altre correnti che creerebbero interferenze; per svolte a sinistra non protette, si esegue una speciale procedura di calcolo.

·         fPD è il coefficiente correttivo che tiene conto della presenza del disturbo dei pedoni nelle svolte a destra e a sinistra, pari a:

            

 

·         fPS è il coefficiente correttivo che tiene conto della presenza del disturbo dei ciclisti nelle svolte a destra e a sinistra, e si individua tramite una speciale procedura di calcolo.

 

Perciò, per quanto visto in precedenza, si ha:

 

Da cui si ricava il ciclo minimo necessario a smaltire i flussi:

 

In caso di n fasi si ha:

 

In caso vi siano due o più correnti veicolari aventi il verde nella medesima fase, il rapporto tra la portata veicolare e il flusso di saturazione presente nella formulazione (denominato indice di carico, esprimibile con g) è quello della corsia più carica (e quindi con questo rapporto maggiore), non risultando quindi il valore propriamente ottimale. Tra l’altro, si deve comunque tenere in conto che il ciclo semaforico dovrebbe essere di almeno 30 secondi per evitare tempi di verde inferiori a 10 secondi, mentre la durata massima non dovrebbe essere superiore a 100 secondi nei cicli a due fasi e a 120 secondi nei cicli a più di due fasi per evitare esagerati tempi di attesa; qualora il ciclo risultante sia maggiore, si dovrebbero effettuare interventi sulla geometria stradale.

Fissata la durata del ciclo, si possono individuare i tempi di verde efficace tramite le formulazioni mostrate in precedenza, e, di conseguenza, i tempi di verde e di rosso semaforico, imponendo la durata del giallo pari a 4 secondi:

              ;           

 

 

Capacità, ritardi e LOS

 

La capacità di un gruppo di corsie, noti la lunghezza del ciclo semaforico e il verde efficace, è pari a:

 

Parallelamente, si individua il rapporto di saturazione:

 

Che, nel calcolo del ciclo minimo precedentemente illustrato, è pari a 1.

Un criterio per calcolare la lunghezza del ciclo in grado di minimizzare il ritardo è basato sulla definizione del rapporto di saturazione critico Xc, che, fra i vari gruppi di corsie aventi il via libera nella stessa fase di verde, è quello relativo al gruppo di corsie avente l’indice di carico più alto, a sua volta denominato gruppo di corsie critico; la sua individuazione non è complessa, fatta eccezione negli eventuali casi in cui alcune fasi non siano sovrapposte (cioè uno o più gruppi di corsie hanno il verde per più fasi).

Si definisce come:

 

Per formula inversa, il ciclo sarà quindi uguale a:

 

Per Xc = 1 si ottiene direttamente la formulazione già adottata per ricavare il ciclo semaforico minimo teorico, mentre per i semafori a ciclo fisso si ottiene la minimizzazione dei ritardi per un valore di Xc compreso tra 0,8 e 0,9.

Si ottengono quindi i tempi di verde efficace:

 

In cui si pone xi = Xc per i gruppi di corsie critici, e xi = 0,95÷0,98 Xc per gli altri gruppi di corsie, “cedendo” così i tempi di verde in eccesso ai movimenti principali.

Per la valutazione del ritardo subito da ogni veicolo, si adotta la metodologia contenuta nel manuale americano HCM 2000. Esso è pari a:

 

In cui:

·         d è il ritardo medio per veicolo, espresso in secondi al veicolo;

·         d1 è il ritardo medio di controllo assumendo arrivi uniformi, espresso in secondi al veicolo;

·         PF è un fattore che tiene conto del tipo di controllo (ciclo fisso, semiattuato, attuato) e della progressione degli arrivi;

·         d2 è il ritardo incrementale che tiene conto dell’arrivo casuale, e quindi non uniforme, dei veicoli, delle code che si formano e della durata del periodo di analisi;

·         d3 è il ritardo dovuto alla presenza di code all’inizio del periodo di analisi.

 

Considerando solamente le intersezioni regolate da impianti semaforici a ciclo fisso, il fattore PF è pari a 1; inoltre, si ipotizza l’assenza di code all’inizio del periodo di analisi (quindi d3 è pari a 0).

Il termine d1 è pari a:

 

In cui:

·         C è la durata del ciclo semaforico, espressa in secondi.

·         RV è il rapporto di verde.

·         x è il grado di saturazione.

 

Mentre il termine d2 è pari a:

 

In cui:

·         c è la capacità, espressa in veicoli all’ora.

·         T è il periodo di analisi, espresso in ore; in genere ci si riferisce a 15 minuti, quindi è uguale a 0,25.

 

Ottenuto il ritardo medio per veicolo, si può calcolare un ritardo medio per ogni accesso:

 

In cui:

·         dA è il ritardo medio per il generico accesso, espresso in secondi al veicolo.

·         Qi è la portata per il gruppo di corsie i.

·         di è il ritardo medio per il gruppo di corsie i

 

Dai quali si può ottenere un ritardo medio riguardante l’intera intersezione:

 

In cui QA è la portata ad ogni accesso.

Il livello di servizio è la discretizzazione del ritardo medio subito da ogni veicolo in 6 intervalli e descrive sinteticamente la qualità del deflusso veicolare:

·         Il livello di servizio A è caratterizzato da bassi gradi di saturazione e cicli semaforici relativamente corti; la maggior parte dei veicoli attraversa l’intersezione senza la necessità di fermarsi.

·         Il livello di servizio B indica un deflusso stradale ancora buono, ma con più veicoli costretti a fermarsi.

·         Il livello di servizio C descrive condizioni meno favorevoli, con ritardi più sensibili e un numero di veicoli che devono fermarsi ancora maggiore.

·         Il livello di servizio D indica una congestione imminente; spesso il verde non riesce a smaltire tutti i veicoli in coda.

·         Il livello di servizio E è un ulteriore peggioramento del livello D, con attese molto lunghe dovute a rapporti di saturazione elevati, ciclo semaforico eccessivamente lungo e cattiva progressione degli arrivi.

·         Il livello di servizio F manifesta tempi di attesa intollerabili per gli utenti; si devono attendere 2 o più cicli semaforici per attraversare l’intersezione.

 

La suddivisione dei ritardi medi per veicolo nei 6 intervalli è la seguente:

 

Livello di servizio

Ritardo medio

(sec/veic)

A

≤10

B

10-20

C

20-35

D

35-55

E

55-80

F

>80

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia e fonti

Tommaso Esposito, Raffaele Mauro, “Fondamenti di Infrastrutture Viarie”, vol. 2.


I semafori adattivi

 

Gli impianti semaforici adattivi rappresentano lo step evolutivo successivo a quello della regolazione tradizionale del ciclo semaforico. La necessità di aumentare performance e sicurezza alle intersezioni semaforizzate, ha spinto l’ingegneria stradale verso l’ottimizzazione della durata delle fasi del ciclo semaforico, in modo da adattarsi in tempo reale ai veicoli effettivamente circolanti sugli archi stradali, senza quindi seguire una programmazione preimpostata che, chiaramente, mostra il fianco di fronte alle naturali variazioni e oscillazioni della domanda media.

 

 

Livello di dettaglio del controllo del traffico

 

Un’intersezione regolata da semafori adattivi, può essere controllata a diversi livelli, a seconda dell’estensione del controllo che si vuole esercitare sulla rete:

·         La regolazione adattiva di un’intersezione semaforizzata isolata prevede di regolare esclusivamente un’intersezione, in modo da ottimizzarne la capacità e minimizzare i ritardi dei veicoli. Esistono numerosi approcci per il controllo adattivo, che tengono in genere conto delle capacità di rilevamento disponibili. I più diffusi si basano su misure di portata e di densità ai diversi accessi dell’incrocio, a distanze variabili dall’incrocio stesso.

·         La regolazione di reti di intersezioni urbane semaforizzate a selezione di piano definisce il migliore piano semaforico, in relazione a diverse configurazioni di traffico osservate sulla rete, e sceglie in tempo reale il piano più adatto alla situazione esistente, tra un insieme di piani corrispondenti alle condizioni prevalenti di traffico. Questi sistemi fanno ricorso ai dati raccolti riguardanti gli assi principali (in genere portate e densità), che permettono di valutare le condizioni generali del traffico; si adotta, in tal caso, il piano semaforico più adatto alle condizioni osservate, evitando, tuttavia, di operare permutazioni troppo frequenti, in modo da non perturbare eccessivamente il traffico.

·         La regolazione di reti di intersezioni urbane semaforizzate a elaborazione di piano cerca di ottimizzare in tempo reale il funzionamento dei semafori di una rete, puntando per esempio a minimizzare parametri quali il tempo di viaggio dei veicoli sulla rete, il tempo di attesa agli incroci, la lunghezza della congestione. Sono stati sperimentati molteplici metodi di regolazione in tempo reale. I dati utili sono in genere portata, tasso di occupazione, velocità, lunghezze di coda e correnti di svolta.

 

 

Funzionamento di base

 

Per quanto riguarda l’architettura richiesta dai sistemi semaforici adattivi, l’infrastruttura che ne permette l’adeguato funzionamento prevede componenti usualmente non presenti negli impianti semaforici tradizionali: la differenza risiede nella necessità di dover rilevare in tempo reale il traffico veicolare sugli archi stradali in oggetto. Esistono diverse tipologie di sistemi, ma dapprima risulta utile, al fine di illustrare con chiarezza tutti i dettagli, schematizzare i componenti che ne permettono il funzionamento:

·         sensore: dispositivo che produce un segnale descrittivo di caratteristiche del fenomeno da rilevare.

·         rilevatore: dispositivo elettronico capace di codificare il segnale prodotto dal sensore.

·         trasmissione: sistema utile al trasferimento delle informazioni codificate, dal sensore al rilevatore, dal rilevatore ad un’unità locale, dall’unità locale ad un’unità centrale.

·         trattamento: destinato a fornire dei dati elaborati a partire dai dati provenienti dai rilevatori; esso può essere centralizzato o avvenire, almeno in parte, presso le unità locali (stazioni di misura).

 

 

Tecnologie di rilevamento del traffico veicolare

 

Le tipologie di impianti di rilevamento adottati si avvalgono dei medesimi principi di funzionamento delle installazioni normalmente adoperate per la stima della domanda in un lasso di tempo limitato, tipica, ad esempio, dello studio di mobilità di un centro urbano.

Le tecnologie di rilevamento di uso corrente possono essere distinte in rapporto al tipo di rilevatore adoperato, che può essere posto sulla pavimentazione (intrusivo), oppure entro o in prossimità della carreggiata (non intrusivo).

I più diffusi metodi di rilevamento automatico sono:

·         I tubi pneumatici.

·         I cavi triboelettrici.

·         Le spire induttive.

·         I sensori magnetodinamici.

·         I sensori a microonde

·         I sensori a raggi infrarossi.

·         I sensori WIM.

·         I sensori acustici.

·         Unità attrezzate mobili

 

 

Il rilevamento con tubi pneumatici

 

La tecnica di rilevamento con tubi pneumatici è il più antico sistema automatico di misura delle portate stradali. Fa ricorso ad un sensore collegato ad un tubo pneumatico posizionato sulla carreggiata e comunicante con un apparecchio contatore disposto al margine della strada.

 

Fig. 2.1 – Un sistema di rilevamento con tubi pneumatici; a lato, il relativo macchinario contacolpi

 

 

Il tubo pneumatico è costituito da un tubo di gomma pieno d’aria, disponibile in varie lunghezze e diametri, steso sulla pavimentazione stradale ortogonalmente alla direzione del traffico ed è tenuto in posizione da appositi ganci fissati sulla superficie bituminosa.

Fig. 2.2 - L'installazione su strada dei cavi pneumaticiFig. 2.3 - I cavi pneumatici messi in opera e i ganci fissati sulla superficie bituminosa

Quando le ruote di un veicolo schiacciano il tubo pneumatico, al suo interno si genera un’onda di pressione che si propaga verso le estremità azionando un interruttore a membrana inserito in un circuito elettrico alimentato a batteria, generando un impulso nel contatore. L’apparecchio rilevatore effettua il conteggio dei veicoli facendo corrispondere ad ogni coppia di azionamenti dell’interruttore a membrana (ovvero al passaggio consecutivo di due assi sul tubo) un’unità di vettura equivalente. I vantaggi del rilevamento con tubi pneumatici risiedono nella facilità di installazione e rimozione dei sensori, nel costo contenuto e nella possibilità di garantire un funzionamento con batterie di autonomia di alcuni giorni. Gli svantaggi di tale tecnica sono però diversi: l’imprecisione di conteggio nel caso di flussi elevati (errori superiori al 20 %), l’impossibilità di ricavare i dati del transito dei veicoli con 3 o più assi (infatti un camion con sei assi viene rilevato come tre unità di vettura equivalente), l’incapacità, quando il tubo è fissato su una strada a più corsie, di selezionare gli impulsi d’aria e ripartirli per corsia di appartenenza (tale problema potrebbe comunque essere superato con l’utilizzo di una logica elettronica in grado di effettuare la discriminazione); ai limiti puramente prestazionali, inoltre, si aggiungono quelli riguardanti l’integrità dell’impianto stesso, a causa dell’elevato rischio di rottura meccanica del tubo ad opera soprattutto dei mezzi pesanti e del pericolo di stacco del tubo dalla pavimentazione stradale.

 

 

Il rilevamento con cavi triboelettrici

 

La tecnica di rilevamento con cavi triboelettrici è molto simile a quella che fa ricorso a tubi pneumatici. Tale sistema presuppone l’impiego di un cavo triboelettrico immerso nella pavimentazione stradale e collegato ad un rilevatore; il cavo triboelettrico è costituito da un conduttore centrale di acciaio circondato da materiale dielettrico, da un anello esterno di fili di acciaio intrecciati liberamente attorno al materiale dielettrico e da un robusto rivestimento di plastica esterno.

Fig. 2.4 - Prospetto e sezione di un cavo triboelettrico

 

 

Complessivamente, il diametro è inferiore rispetto a quello del tubo pneumatico.

I sensori triboelettrici possono essere utilizzati per rilevamenti sia temporanei che fissi: nel primo caso, il cavo viene fissato alla superficie stradale usando un appropriato adesivo ovvero dei ganci, per cui l’installazione risulta rapida ed economica; nel secondo caso, che ovviamente comprende i rilevamenti per i semafori adattivi, al fine di assicurare al cavo una maggiore protezione, è conveniente effettuare un taglio nella pavimentazione bituminosa e adagiarvi il sensore in modo leggermente sporgente rispetto alla superficie stradale.

Il principio di funzionamento si basa sull’effetto triboelettrico, ovvero l’elettrizzazione per strofinio di un materiale dielettrico: quando le ruote di un veicolo passano sul cavo, i fili di acciaio dell’anello esterno del cavo sfregano la superficie del materiale dielettrico, elettrizzandolo, e provocando così un accumulo di carica elettrica; ciò comporta l’invio di un segnale elettrico e quindi la registrazione del passaggio dell’asse del veicolo. Pertanto, similmente a quanto accade con i tubi pneumatici, i cavi triboelettrici effettuano il conteggio dei veicoli in transito a partire dal rilevamento degli assi dei veicoli stessi; sono però da preferire poiché risultano più robusti e resistenti, meno visibili e comunque poco più costosi.

 

 

 

Il rilevamento con spire induttive.

 

Il sistema di rilevamento dei dati del traffico con spire ad induzione magnetica è attualmente la tecnica di misura più utilizzata. Tale sistema risulta costituito da una o più spire induttive posizionate in corrispondenza della carreggiata e collegate ad un apparecchio rilevatore posizionato ai margini della carreggiata.

 

Fig. 2.5, 2.6, 2.7  - Uno schema semplificato di spira induttiva e due applicazioni sotto la pavimentazione stradale

 

Una spira induttiva è un avvolgimento di filo elettrico costituita da uno o due giri di filo disposti secondo una forma quadrata o rettangolare.

 

Fig. 2.8 - La struttura della spira induttiva

 

 

Le spire possono essere installate secondo due diverse configurazioni.

La prima prevede che esse siano disposte sopra la pavimentazione stradale, fissate con appositi ganci e ricoperte da strisce di tela catramata al fine di impedirne il danneggiamento al passaggio dei veicoli.

Fig. 2.9 – Operazioni di montaggio di una spira induttiva esterna

Fig. 2.10 – Un sistema di spire induttive esterne ricoperte da tela catramata

 

 

Nella seconda configurazione, il filo è annegato nel manto stradale, alloggiato all’interno di solchi praticati nella pavimentazione.

Fig. 2.11, 2.12 - Operazioni di montaggio di una spira induttiva annegata nella pavimentazione stradale

Fig. 2.13 – Operazione di rifinitura di una spira induttiva annegata nella pavimentazione stradale

 

 

Il principio di funzionamento prevede il passaggio di corrente elettrica fornita da un generatore a batteria lungo il filo costituente la spira, e che genera quindi un campo magnetico; quando la massa metallica di un autoveicolo transita sulla spira si verifica una variazione di questo campo magnetico riducendo l’intensità della corrente circolante nella spira. Questa variazione produce un segnale elettrico che dura per tutto il tempo di permanenza del veicolo nella zona di rilevazione, consentendo così la segnalazione della presenza del veicolo e, quindi, il conteggio.

Se un veicolo di lunghezza lvi transita a velocità vi su una spira di lunghezza ls, il tempo di permanenza toi del veicolo stesso sulla spira può essere valutato come:

 

Disponendo una spira su una corsia stradale, è possibile dunque non solo misurare la portata veicolare ma anche risalire al tasso di occupazione τ della corsia in un tempo di osservazione T; infatti, conoscendo il numero n di veicoli rilevati nel tempo T ed il tempo toi di occupazione della spira da parte del generico veicolo, si può facilmente valutare τ come:

 

Il parametro adimensionale τ permette di stimare la densità k della corsia stradale in cui è installata la spira. A tal proposito, si consideri che la velocità media di un flusso di n veicoli, che transitano sulla spira durante il periodo di osservazione T, è data dal rapporto:

 

Assumendo come lunghezza media degli n veicoli il valore:

 

Nell’ipotesi di flusso stazionario, con k = q / v, dove q = n / T è la portata, si ricava che:

 

cioè:

 

Si è così ottenuta una relazione che consente di ricavare la densità k in funzione del tasso di occupazione τ; è comunque opportuno sottolineare che le stime di densità così ottenute devono essere successivamente filtrate per ridurre l’influenza delle approssimazioni di calcolo e di eventuali errori di misura. Inoltre, se con una sola spira si misurano la portata veicolare, il tasso di occupazione e la densità, con due spire induttive disposte su una stessa corsia è possibile risalire alla velocità istantanea dei veicoli in transito: collegando ad un unico apparecchio rilevatore due spire di dimensioni note (con lato ls) e poste ad una distanza mutua prefissata d (circa 1m), la velocità istantanea del generico veicolo può essere valutata come:

 

In cui t1i e t2i sono gli istanti d’ingresso sulla prima e sulla seconda spira.

I vantaggi della tecnica di rilevamento con spire induttive risiedono nella facilità di installazione dei sensori e nel costo contenuto, imputabile quasi esclusivamente ai lavori di installazione. Questa tecnica di misura può comportare, tuttavia, una certa distorsione dei dati: le spire conteggiano accuratamente i veicoli viaggianti ad alta velocità, ma generano errori considerevoli nei casi di basse velocità o di veicoli in fase di arresto.

 

 

Il rilevamento con sensori magneto-dinamici

 

I sensori magneto-dinamici o sensori VMI (vehicle magnetic imaging) sono moderni sensori di tipo intrusivo capaci di rilevare una vasta gamma di dati di traffico (passaggio dei veicoli, velocità di transito, lunghezza veicolare, tempo di occupazione della sezione stradale, distanziamento temporale). Un sensore magneto-dinamico ha l’aspetto di una piastra rettangolare di piccole dimensioni, ed è costituito essenzialmente da un microprocessore alimentato da batterie ricaricabili.

 

Fig. 2.14 - Una piastra WIM poggiata sulla sua copertura

 

 

Deve essere posizionato in corrispondenza della mezzeria della corsia, all’interno di una fessura verticale praticata nella pavimentazione stradale, in maniera tale che esso risulti protetto nei confronti delle sollecitazioni derivanti dal transito dei veicoli.

Fig. 2.15, 2.16 - Sensori WIM installati sulla pavimentazione stradale; esternamente è visibile solo la copertura

 

 

I sensori magneto-dinamici rilevano il passaggio dei veicoli stradali basandosi sull’analisi della variazione del campo magnetico terrestre, indotte dalla interferenza delle componenti metalliche del veicolo: in corrispondenza di ogni cambiamento del campo magnetico terrestre dovuti al passaggio dei veicoli transitanti, i circuiti GMR (Giant Magneto Ratio) presenti all’interno del rilevatore producono un segnale elettrico, il quale risulta direttamente proporzionale alla massa magnetica veicolare che lo ha provocato; tali segnali elettrici sono analizzati dal microprocessore e immagazzinati nella sua memoria interna. Tra l’altro, in caso di eventuali ulteriori scopi, ultimata la registrazione in sito, tali dati memorizzati possono essere trasferiti ad un computer che, utilizzando un appropriato software di analisi, organizza e restituisce un’ampia gamma di informazioni sul flusso di traffico rilevato; in particolare si possono ottenere conteggi veicolari, misure di velocità, tempi di occupazione, lunghezze veicolari, distanziamenti temporali.

I vantaggi della tecnica di rilevamento con sensori VMI risiedono nella facilità di installazione dei rilevatori (dovuta alle loro dimensioni contenute), nella notevole autonomia (circa 90 giorni), nella precisione di conteggio, nella possibilità di rilevare veicoli viaggianti sia ad alta che a bassa velocità e nella possibilità di acquisizione di ulteriori dati di traffico di interesse.

 

 

Il rilevamento con sensori a microonde

 

In alternativa ai tradizionali sensori installati sulla pavimentazione bituminosa, il rilevamento del passaggio e della velocità dei veicoli attraversanti una sezione stradale può essere effettuato mediante l’impiego di moderne tecnologie fuori terra: è il caso dei sensori a microonde, o microwave radar. Tali sensori possono essere di due tipi:

·         La prima tipologia è rappresentata dal Doppler microwave radar, ovvero dal radar ad effetto Doppler. Il dispositivo, chiamato anche “cinemometro”, è costituito essenzialmente da un’antenna direzionale che emette, in un fascio assai ristretto, onde elettromagnetiche con frequenza costante dell’ordine dei 10 GHz (microonde); l’antenna ha anche una funzione ricevente e viene installata fuori dalla sede viaria.

 

Fig. 2.17 – Un’antenna “Doppler microwave radar”

Il principio di funzionamento del sensore si basa sull’effetto Doppler-Fizeau, consistente nella modifica della frequenza di un’onda elettromagnetica in presenza di moto relativo tra sorgente e ricettore. In dettaglio, quando l’onda di frequenza f emessa dall’antenna incontra un veicolo in transito, quest’ultimo, a causa dell’effetto Doppler, riceve un’onda di frequenza variata f’. Una frazione di quest’onda viene riflessa dal ricettore e, sempre per il principio Doppler, viene rilevata dall’antenna con frequenza nuovamente variata (f’’): sostanzialmente, il veicolo si comporta da sorgente mobile, mentre l’antenna funge da ricettore fisso.

 

 

Fig. 2.18, 2.19 - Area di copertura dell'antenna radar e aspetto esterno dell’apparato in funzione

 

In definitiva, la frequenza dell’onda riflessa ricevuta dall’antenna risulta differente da quella dell’onda precedentemente emessa, e il rilevamento da parte del sensore di tale variazione di frequenza denota il passaggio del veicolo. La differenza tra la frequenza emessa e la frequenza riflessa viene chiamata frequenza Doppler-Fizeau (Fd). Essa risulta proporzionale alla velocità istantanea v del veicolo rilevato, inversamente proporzionale alla lunghezza dell’onda emessa λ e dipende inoltre dall’angolo  che il fascio d’onde emesso forma con il vettore velocità del veicolo:

 

Dove Fd è espressa in Hz, v in m/s, λ in m e  è, in genere, assunto pari a 25°.

In virtù della proporzionalità tra la frequenza Doppler-Fizeau e la velocità del veicolo, il sensore a microonde è in grado di effettuare anche la misura diretta della velocità istantanea dei veicoli in transito; comunque, i Doppler microwave radar non possono rilevare i veicoli fermi o viaggianti a velocità estremamente basse.

·         La seconda tipologia di sensori a microonde è rappresentata dal True presence microwave radar. La differenza sostanziale rispetto al primo tipo di radar a microonde risiede essenzialmente nella frequenza dell’onda elettromagnetica emessa: mentre il Doppler microwave radar emette un’onda con frequenza costante, il true-presence microwave radar emette invece un’onda continua a frequenza modulata, la cui frequenza varia continuamente nel tempo.

 

Fig. 2.20 – Un’unità di True presence microwave radar

 

 

Oltre al conteggio dei veicoli attraversanti il suo campo di azione ed alla misura diretta delle loro velocità, tale tipo di sensore consente di rilevare anche i veicoli fermi, per cui, se collegato ad una centrale di controllo remota, permette di segnalare in tempo reale eventuali incidenti.

 

Le performance di entrambe le tipologie di radar a microonde non sono influenzate da condizioni atmosferiche avverse, anche se risultano più costosi rispetto ai tradizionali rilevatori installati sulla superficie stradale; tuttavia, grazie al modesto onere di manutenzione, l’ammortamento nel lungo termine può renderli complessivamente più economici.

Il rilevamento con sensori a raggi infrarossi

 

Analogamente ai dispositivi di rilevamento a microonde, i sensori a raggi infrarossi (infrared detectors) costituiscono una delle possibili alternative ai tradizionali rilevatori installati sulla superficie stradale. Tali sensori possono essere distinti in passivi ed attivi:

·         I dispositivi passivi consentono esclusivamente il rilevamento del passaggio dei veicoli. Si compongono essenzialmente di un apparecchio ricevitore in grado di rilevare l’energia delle radiazioni infrarosse emesse dalla pavimentazione stradale o dalla superficie dei veicoli attraversanti la sua zona di influenza.

 

Fig. 2.21, 2.22 – Due esemplari di sensori a raggi infrarossi passivi

 

Il sensore è installato al di sopra della mezzeria di ogni corsia, su opere d’arte che sovrastano la carreggiata. Al passaggio di un veicolo, il dispositivo rileva un’energia radiante nel campo dell’infrarosso diversa da quella emessa dalla superficie stradale in assenza del veicolo; il rilevamento di tale variazione di energia denota allora il passaggio del veicolo.

 

Fig. 2.23 - Lo schema di funzionamento del sistema; l'energia radiante dell'automobile è diversa da quella della pavimentazione stradale

 

 

·         I dispositivi attivi permettono non soltanto il rilevamento della presenza o del passaggio dei veicoli, ma anche la misura diretta delle loro velocità. Il sensore viene installato similmente al tipo passivo e risulta costituito da una sorgente e da un ricevitore di raggi infrarossi (i tipi più comuni utilizzano come sorgente un diodo laser capace di emettere radiazioni con lunghezza d’onda di circa 0,9 micron). Il rilevamento diretto della velocità di un veicolo risulta possibile disponendo i sensori a coppia su di un unico supporto, a breve distanza fra loro (ad esempio 1 m): l’interruzione del primo fascio di raggi infrarossi per effetto del passaggio di un veicolo provoca l’azionamento di un cronometro, il quale viene bloccato quando lo stesso veicolo attraversa il secondo fascio.

 

 

 

 

 

Fig. 2.24 – Lo schema di funzionamento con i due fasci di raggi infrarossi

 

Noti il tempo impiegato dal veicolo per attraversare i due raggi infrarossi e la distanza fra tali raggi, il sensore è in grado di valutare la velocità veicolare.

 

Le due tipologie di sensori a raggi infrarossi presentano il vantaggio di non causare disturbo alla circolazione stradale durante la loro installazione e di non essere soggetti a degrado di prestazioni in presenza di nebbia, problemi che invece risultano significativi in condizioni di pioggia o neve.

 

 

Il rilevamento con sensori WIM.

 

I sensori WIM (weight in motion) rappresentano quella classe di detentori a pressione capaci di effettuare la pesatura dinamica dei veicoli in transito. Intraprese a partire dagli anni 70 per rispondere alle esigenze di classificazione dei veicoli e di repressione delle infrazioni sui carichi d’asse, le ricerche tecnologiche hanno portato negli ultimi anni allo sviluppo di una vasta serie di rilevatori WIM, tra i quali si segnalano i cavi piezoelettrici, le piastre capacitive ed i sensori a celle di carico.

·         Il sistema a cavi piezoelettrici è costituito da sensori assiali che prevedono l’utilizzo di un cavo piezoelettrico disposto sopra la pavimentazione stradale (perpendicolarmente alla direzione di transito dei veicoli) e di un registratore elettronico posizionato al margine della carreggiata. Il cavo piezoelettrico è costituito da un conduttore in rame circondato da materiale piezoelettrico (generalmente ceramica) e racchiuso da una guaina esterna di rame.

Fig. 2.25, 2.26 - Due esempi di sistemi di rilevamento a cavi piezoelettrici

Fig. 2.27, 2.28 – Dettaglio riguardante il registratore elettronico a bordo strada

 

I sensori piezoelettrici possono essere utilizzati per rilevamenti sia temporanei che permanenti: nel primo caso, il cavo viene fissato alla superficie stradale; nel secondo caso (quello applicato per i rilevamenti dei semafori adattivi), esso viene installato all’interno della pavimentazione bituminosa, previa chiusura in una barra di resina che gli assicura una buona resistenza meccanica. Il principio su cui si basa questo tipo di sensore è quello proprio di un materiale piezoelettrico che, se sottoposto a deformazione elastica per un’azione meccanica, si polarizza, cioè dà luogo ad una separazione di cariche di segno contrario: in pratica, quando le ruote dell’asse di un veicolo sollecitano il sensore, il materiale piezoelettrico risulta soggetto a una compressione, e si polarizza; la polarizzazione genera una differenza di potenziale tra le due armature di rame che costituiscono il sensore, circostanza che determina l’invio di un impulso, che varia in ampiezza e tempo a seconda del peso e della velocità del veicolo che transita. Se propriamente installato e calibrato, un sensore piezoelettrico installato in una corsia stradale e le logiche elettroniche ad esso associate consentono di effettuare non soltanto il conteggio dei veicoli in transito, ma anche la pesatura dinamica dei loro assi; inoltre, il collegamento di due sensori piezoelettrici per ogni corsia ad una stazione mobile permette il calcolo delle geometrie degli assi, della velocità, delle distanze reciproche tra gli assi e della lunghezza complessiva. I vantaggi del rilevamento con sensori piezoelettrici risiedono nella facilità di installazione dei cavi e nella possibilità di acquisizione di un ampio ventaglio di informazioni; gli svantaggi sono legati al costo più elevato rispetto agli altri sensori a pressione, alla scarsa affidabilità e al rischio di rottura meccanica dei cavi.

·         Il sistema a piastre capacitive risulta costituito da due lunghe e sottili lamine conduttrici in acciaio inox fra le quali è interposto un materiale isolante. Il sensore, approssimabile a un grande condensatore, viene fissato alla pavimentazione di ogni corsia stradale (trasversalmente alla direzione di transito dei veicoli) e risulta associato ad un modulo elettronico posizionato a bordo strada.

Fig. 2.29, 2.30 – Due differenti applicazioni di sensori a piastre capacitive

 

 

Quando le ruote dell’asse di un veicolo transitano sopra il sensore, la pressione esercitata sulle armature metalliche provoca un incremento della capacità del condensatore stesso; ciò comporta l’invio di un segnale al modulo elettronico, il quale lo converte in misure di peso. In sostanza, un rilevatore a piastra installato in una corsia stradale consente l’immediata registrazione sia del passaggio del veicolo, sia del carico di ogni suo asse, sia del peso veicolare complessivo, il che rende anche possibile una classificazione per tipologia di tutti i veicoli in transito.

Sono insensibili alle variazioni di temperatura; la loro precisione dipende essenzialmente dalla corretta installazione dei rilevatori e dalle condizioni della strada. Tali sensori comportano dei costi superiori rispetto ai rilevatori piezoelettrici.

·         Il sistema a sensori a celle di carico è una bilancia di pesatura dinamica incassata nella corsia stradale e collegata ad un’unità di elaborazione posta all’interno di un armadio ai margini della strada.

Fig. 2.31, 2.32 – Due differenti applicazioni di sensori a celle di carico

 

La bilancia risulta costituita da due bilichi di pesatura posti uno di seguito all’altro in direzione trasversale alla via di corsa; ciascun bilico ha una lunghezza di circa 75 cm ed una larghezza pari a circa 170 cm, e sono appoggiati su un telaio in acciaio incassato nel calcestruzzo. A fronte di ciò la profondità totale della bilancia può raggiungere i 35 cm. Un bilico utilizza quattro celle elettroniche di carico di tipo a compressione, con corpo in acciaio inossidabile, ognuna delle quali deve avere una capacità minima pari a circa 23 tonnellate; misurano le forze dinamiche trasmesse dai pneumatici al passaggio dei veicoli sulla bilancia ed inviano i dati ricevuti all’unità di elaborazione automatica. Tali sistemi consentono di rilevare automaticamente e con precisione la presenza dei veicoli in movimento, il peso di ogni asse di un veicolo a più assi ed il peso lordo complessivo del veicolo stesso (sommando i pesi dei singoli assi); inoltre, consentono di ricavare la classificazione di ogni veicolo passante secondo la disposizione degli assi.

 

Fig. 2.33 - Il passaggio di un mezzo pesante su un sensore a celle di carico

 

 

È opportuno precisare che, analogamente alle piastre capacitive, comportano dei costi superiori a quelli dei rilevatori piezoelettrici.

 

 

Il rilevamento con sensori acustici.

 

Analogamente ai sensori a raggi infrarossi, i rilevatori acustici possono essere distinti in due differenti tipologie:

·         I sensori acustici passivi rappresentano dei rilevatori non intrusivi di riconoscimento dei veicoli, basati sulla misura del rumore prodotto da ogni singolo veicolo per effetto dell’azionamento delle sue parti meccaniche e dell’interazione dei pneumatici con la superficie stradale. In linea generale, il rilevamento del passaggio dei veicoli prevede l’utilizzo di una serie di sensori acustici posti a intervalli regolari ai margini della strada e collegati ad un sistema di elaborazione dei segnali; quando un veicolo stradale attraversa la zona di rilevazione, si rileva un aumento di energia sonora, cui corrisponde un segnale di presenza del veicolo. Il segnale dura per tutto il tempo di permanenza del veicolo nell’area di rilievo; quando il veicolo supera tale zona, l’energia sonora decresce portandosi al di sotto della soglia di rilevazione ed il segnale scompare. Questa categoria di sensori è una delle meno impiegate nel rilevamento del traffico veicolare.

·         I sensori acustici attivi o ad ultrasuoni sono la tipologia di rilevatori acustici più utilizzata e consentono il rilevamento degli stessi parametri del traffico valutabili con le spire magnetiche: portata veicolare, tasso di occupazione, velocità di transito. Un sensore ad ultrasuoni è uno strumento di dimensioni contenute costituito essenzialmente da un generatore e da un ricevitore di onde sonore di frequenza compresa tra 25 kHz e 60 kHz (ultrasuoni); non richiede interventi sul manto stradale ed è installato normalmente su un portale oppure su un cavalcavia sovrastante la via di corsa.

 

Fig. 2.34 – Un generatore di ultrasuoni posizionato sopra l’asse stradale

 

 

Il principio di funzionamento del sensore si basa sul fenomeno della riflessione delle onde sonore, secondo cui il tempo impiegato da un’onda per lasciare la sorgente, rimbalzare su una superficie riflettente (posta ortogonalmente alla direzione di propagazione) e ritornare alla sorgente stessa è direttamente proporzionale alla distanza tra la sorgente e la superficie di riflessione; sfruttando tale fenomeno, il sensore misura la sua distanza dalla superficie riflettente (che può essere la strada o la parte superiore di un veicolo) e sulla base di tale distanza riconosce il passaggio dei veicoli. In dettaglio, il generatore emette fasci ristretti di onde ultrasonore dirigendole verso il basso, in direzione perpendicolare alla superficie stradale. In assenza di veicoli, l’impulso ultrasonoro viene riflesso dalla pavimentazione e ritorna al ricevitore con un certo ritardo Δ rispetto all’emissione, a partire dal quale si può valutare la distanza d del sensore dalla strada:

 

In cui v è la velocità di propagazione delle onde ultrasonore. Al passaggio di un veicolo, invece, l’impulso ultrasonoro incontra come parete riflettente la parte superiore del veicolo e, sulla base del tempo trascorso tra l’emissione dell’onda ed il ritorno al ricevitore dell’onda riflessa, il sensore misura la sua distanza dalla superficie riflettente (distanza che ovviamente risulta inferiore rispetto a quella sensore – strada). In definitiva, questo sensore rileva il passaggio dei veicoli (e quindi la portata veicolare in virtù della misura di distanze (in condizioni di funzionamento ottimali, la precisione di misura delle distanze è di ±0,5 m, e ciò a causa della dipendenza della velocità di propagazione delle onde dall’umidità dell’aria e dalla temperatura). In aggiunta, questa tipologia di sensore, rilevando la distanza della parte superiore dei veicoli in transito, permette anche una distinzione dei mezzi per tipologia in funzione della sagoma rilevata; inoltre, potendo registrare l’intervallo di tempo in cui l’onda riflessa da un veicolo viene captata dal ricevitore, consente di risalire al tasso di occupazione per la corsia oggetto di rilevamento. Si segnala, infine, che l’associazione di due sensori ad ultrasuoni a breve distanza tra loro permette la rilevazione in via diretta della velocità dei veicoli transitanti. I vantaggi del rilevamento con tale tipo di sensori risiedono nella facilità di installazione dei sensori, nella modesta manutenzione e nell’affidabilità (nelle migliori condizioni si può arrivare ad un tasso di errore di circa l’1%). Tuttavia, non sono in grado di garantire un grado di accuratezza elevato nella misura di altre variabili del traffico, dal momento che risultano sensibili alla temperatura ed alle turbolenze d’aria; inoltre i loro costi risultano più elevati rispetto a quelli dei tradizionali sensori installati sulla superficie stradale, soprattutto se non si dispone di supporti già esistenti (cavalcavia, portali per altri usi).

 

 

Il rilevamento con immagini video

 

Escludendo per ovvie ragioni temporali il rilevamento di tipo fotografico, rimane da prendere sicuramente in considerazione quello di tipo video che, rispetto ai metodi di rilevamento più tradizionali, presenta il grande vantaggio di non limitarsi al rilievo di pochi specifici parametri del deflusso (per lo più portata e velocità) e di non operare su un dominio spaziale di analisi piuttosto ristretto (rappresentato dalle sole sezioni stradali in cui sono posizionati i sensori di rilevamento), oltre a non risultare intrusivo per la pavimentazione stradale; questa tipologia di rilevamento accresce, inoltre, i parametri di precisione ed affidabilità, garantendo percentuali di errore molto contenute. I sistemi di monitoraggio video videro la luce negli Stati Uniti d’America negli anni ‘70 e diffuse a livello internazionale a partire dagli anni ’80; nell’ultimo decennio, le ricerche su tali sistemi hanno raggiunto risultati significativi che lasciano ancora intravedere nuove possibilità di sviluppo. Il crescente interesse verso la tecnica di video-sorveglianza del traffico stradale è strettamente legato ai suddetti vantaggi che essa può offrire rispetto ai sistemi di rilevamento tradizionali.

In linea generale, un sistema di monitoraggio video si basa sull’impiego di telecamere, le quali consentono di rilevare con continuità lo scenario di traffico che si sviluppa su un determinato tronco stradale: esse offrono dunque una rappresentazione spazio-temporale del flusso veicolare che non ha eguali in termini di varietà di informazioni. Comunque, sono spesso anche utilizzate dalle amministrazioni comunali per il riconoscimento dei veicoli che commettono infrazioni del codice della strada, quali il superamento del limite di velocità, il mancato rispetto del rosso ad un semaforo, la marcia in una corsia riservata agli autobus, eccetera.

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 2.35 - Una telecamera per il monitoraggio del traffico, corredata di led ad infrarossi per la visione notturna

Tuttavia, la determinazione dei parametri del traffico a partire dall’interpretazione delle immagini filmate risulta tutt’altro che semplice e immediata; per ottenere i dati di interesse, infatti, occorre analizzare le immagini elaborando il filmato attraverso delle metodologie rigorose che consentano sia di interpretare il contenuto di ciascuna immagine (analisi spaziale) sia di correlarne sequenzialmente i loro contenuti (analisi temporale).

Il trattamento delle scene di traffico può avvenire in maniera manuale o automatica. Sebbene il trattamento mediante operatore umano sia praticamente esente da errori, il progresso tecnologico rende sempre più preciso ed affidabile quello automatico, che dalla sua, inoltre, non ha lo svantaggio della grandissima onerosità del trattamento manuale. Le operazioni automatiche vengono svolte attraverso l’impiego di hardware e software specializzati capaci di svolgere con rapidità un gran numero di operazioni e di gestire una gran mole di dati. Il processo automatizzato è indicato in letteratura con la sigla T.A.I. (Trattamento Automatico di Immagini) e costituisce tutt’oggi l’oggetto di ricerche del settore. Oltre alla naturale presenza delle telecamere che ricevono le immagini di traffico, esso si avvale di una serie di strumenti operativi, quali:

·         Un videoregistratore, ma solo nel caso di finalità diverse da quelle di controllo in tempo reale del traffico, che registra su dispositivi di archiviazione le scene di traffico filmate.

·         Un convertitore analogico-digitale che trasforma il segnale elettrico uscente dalla telecamera (o dal videoregistratore) in forma digitale; esso è rappresentato normalmente da un processore specializzato, da interfacciare con la telecamera (o videoregistratore) e con l’elaboratore, oppure da una scheda analogico-numerica da incorporare direttamente nell’elaboratore. Sono ormai disponibili sul mercato telecamere digitali che danno in uscita direttamente un segnale video binario, rendendo pertanto non necessario il ricorso ad un convertitore.

·         Un elaboratore, munito di software specializzato, che provvede alla manipolazione delle immagini digitali fornite dal convertitore ed alla conseguente valutazione delle variabili di traffico di interesse; esso conduce un insieme di operazioni specifiche (matematiche, morfologiche, statistiche e di altro genere) volte all’ottenimento dei parametri significativi del traffico veicolare.

 

 

Fig. 2.36 - Fermoimmagine dell'elaborazione di un video di monitoraggio del traffico veicolare

 

 

Gli sviluppi dei sistemi di T.A.I. sono stati lenti in ragione delle enormi difficoltà incontrate nel corso degli anni dalla ricerca scientifica del settore, caratterizzati dai limiti di potenza di calcolo degli elaboratori e dai costi eccessivi. I primi sistemi concepiti hanno aggirato le difficoltà computazionali ed economiche riducendo il volume delle informazioni da trattare, processando, ad esempio, un numero ridotto di immagini (per esempio un’immagine su 4, su 8, o addirittura su 24) e/o limitando l’ampiezza del dominio spaziale di analisi (ovvero processando non l’immagine intera ma una sua piccola finestra). Successivamente, i continui progressi tecnologici compiuti nel campo dell’elettronica hanno reso possibile il ricorso a computer capaci di maggiori prestazioni, con la conseguente estensione delle procedure di trattamento a domini spazio-temporali più ampi. In rapporto all’estensione del dominio spaziale di riferimento, è quindi possibile classificare i sistemi di TAI esistenti in due grandi categorie:

·         I sistemi di trattamento di zone limitate dell’immagine (detti anche tripwire systems o tripline systems) trattano una o più piccole porzioni dell’immagine di traffico visualizzata, processando così un numero limitato di pixel. Le aree trattate sono costituite da un insieme di linee (per esempio le linee dell’immagine che sono parallele all’asse di ciascuna corsia stradale inquadrata) oppure da finestre rettangolari definite, le quali possono essere considerate delle spire induttive virtuali disposte sull’immagine visualizzata; vengono utilizzati algoritmi capaci di rilevare le variazioni di luminosità che i pixel costituenti l’area trattata subiscono al passaggio di un veicolo. I sistemi in esame, i primi ad apparire sul mercato, sono meno costosi rispetto a quelli che trattano l’intera immagine, ma è opportuno sottolineare che forniscono sostanzialmente gli stessi parametri di traffico che possono essere rilevati con l’impiego di delle spire induttive (portata, velocità, tasso di occupazione) e che presentano l’inconveniente di essere condizionati da fattori di disturbo quali cattive condizioni climatiche, variabilità della luminosità ed effetti di mascheramento, che possono provocare errori non trascurabili sul rilevamento dei veicoli.

·        I sistemi di trattamento dell’intera immagine utile (detti anche tracking systems) trattano la totalità dell’immagine o, quantomeno, la parte dell’immagine relativa al solo tronco stradale visualizzato. Essi sono in grado di rilevare tutti i veicoli che si trovano su un’immagine e di seguirli nelle immagini successive, riuscendo così a garantire una quantità di informazioni superiore a quella fornita dai sistemi tradizionali (tra le quali rientrano incidenti, ingorghi, movimenti di svolta agli incroci, classificazione dei veicoli secondo le loro dimensioni, e così via); in sostanza, gli algoritmi utilizzati sono capaci di isolare in ogni fotogramma l’area che definisce il singolo veicolo e di seguirne il movimento procedendo per differenza e confronto pixel per pixel tra le varie immagini successive.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia e fonti

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, “Sistemi di monitoraggio del traffico”.


Le architetture di controllo semaforico

 

Esistono varie tipologie di sistemi di controllo degli impianti semaforici, che si differenziano in base ai dispositivi fisici utilizzati e alle strutture logiche adoperate.

 

 

Il sistema SCATS

 

Acronimo di Sydney Coordinated Adaprive Traffic System, è un sistema di controllo e gestione del traffico ideato negli anni 70 a Sydney. Si è successivamente diffuso in tutta l’Australia nel decennio seguente, per poi prendere piede anche in Europa, Stati Uniti d’America e Asia, dove i problemi derivanti dal traffico veicolare in progressivo aumento cominciarono a diventare imponenti (e spesso cambiando acronimo); nel 2012, sono 263 le città di diversi 27 stati ad avvantaggiarsi di tale sistema, per un totale di più di 35000 intersezioni controllate.

Il sistema controlla il flusso veicolare e pedonale: per il primo, la strumentazione scelta per il conteggio prevede generalmente l’uso delle spire induttive, per il secondo si utilizza il classico sistema “a chiamata”, col quale i pedoni schiacciano l’apposito pulsante ad essi dedicato.

 

 

Funzionamento

 

Il sistema SCATS lavora sulla base dei dati di traffico raccolti in tempo reale, che vendono trasferiti dal dispositivo di rilevamento a un computer centrale. La rete viene suddivisa in aree distinte collegate tra di loro, delimitate e distinte per zone di flusso veicolare omogeneo, nelle quali sono normalmente presenti archi e nodi. A partire dal grado di saturazione negli archi e nei nodi calcolato in base ai flussi di traffico rilevati, assegna i tempi di verde da utilizzare nella prima fase semaforica utile, cercando quindi di ottimizzare il grado di saturazione degli archi.

 

 

Filosofia di funzionamento

 

L’obiettivo è l’ottimizzazione del deflusso veicolare nella rete in tempo reale tramite l’uso di microprocessori sparsi lungo il tratto di rete interessato; la rete è schematizzata in sottosistemi, a loro volta accumulati per essere convertiti in un unico sistema, che è l’intero ambiente su cui operano i processori. Il procedimento logico non è basato su un modello, ma si avvale dei continui input derivanti dalla circolazione stradale.

Gli step del processo di funzionamento sono i seguenti:

·         Rilevamento del volume veicolare.

·         Conversione dei dati numerici.

·         Calcolo della lunghezza del ciclo ottimale.

·         Calcolo della separazione tra le fasi.

·         Determinazione delle combinazioni delle fasi.

·         Controllo della variazione temporale.

·         Applicazione.

 

 

Dati richiesti

 

I dati raccolti dagli appositi sensori, successivamente mandati ai processori per l’elaborazione, comprendono il grado di saturazione e il numero di veicoli equivalenti (a partire dal distanziamento temporale tra i veicoli), coi quali si ottengono la lunghezza del ciclo, la combinazione e la separazione delle fasi. I risultati, inoltre, possono essere affinati mediante l’impiego di apposite relazioni logiche con le quali è possibile determinare altri dati utili, quali la lunghezza della coda e la distinzione delle varie manovre (attraversamento, svolta a destra, svolta a sinistra).

 

 

Architettura

 

L’architettura del sistema SCATS consiste di 3 differenti parti integranti in comunicazione tra di esse, ciascuna avente la propria funzionalità e i propri compiti:

·         Il computer centrale centralizza e assicura il monitoraggio del sistema e delle sue performance, e controlla lo stato delle apparecchiature; individua inoltre eventuali guasti nel sistema e registra tutti gli eventi nel database.

·         I computer regionali eseguono l’algoritmo di controllo veicolare e specificano le caratteristiche delle fasi del ciclo semaforico.

·         I controller locali provvedono a gestire le operazioni strategiche che garantiscono un’adeguata flessibilità alle variazioni del ciclo semaforico (dipendenti dalla domanda) a livello locale e trasmettono le informazioni ai computer regionali.

 

 

Il sistema SCOOT

 

Il sistema SCOOT è una metodologia di controllo ideata in Inghilterra dal Traffic Research Laboratory (TRL), un distaccamento del Department for Transport (DfT) del governo inglese. È nato dalla necessità di superare le difficoltà sorte con i primi sistemi semaforici con cicli precalcolati (diversi a seconda del periodo della giornata) su base di dati di traffico raccolti in precedenza, di cui TRANSYT ne è l'esempio più noto: la preparazione di tali piani, però, richiede che i dati sul traffico vengano raccolti e analizzati per più ore del giorno possibili; questo modelli di traffico, però, col passare del tempo divenivano sempre meno efficienti, e per garantire performance migliori era necessario aggiornare i piani quante più volte possibile, rendendo quindi le operazioni molto onerose. Perciò, per superare questi problemi è stato sviluppato il concetto di un sistema di controllo che reagisse costantemente con la domanda, anche se gli sforzi iniziali non hanno condotto a risultati incoraggianti, principalmente a causa del fatto che si è continuato a fare affidamento su pianificazioni ibride, ovvero sia precalcolate che sviluppate dinamicamente. Lo SCOOT può contare su oltre 20 anni di sviluppo, ed è tutt'oggi un sistema in continua evoluzione; è impiegato in più di 200 città di 14 paesi diversi.

I benefici della metodologia SCOOT sono molteplici:

         Gestione dettagliata del traffico.

         Riduzione dei ritardi superiore al 20%.

         Miglioramento dell’efficienza della rete.

         Architettura di comunicazione flessibile.

         Priorità per i mezzi di trasporto pubblico.

         Identificazione di sinistri stradali.

         Alta capacità di reazione a eventi eccezionali.

         Stima delle emissioni dei gas di scarico nell’atmosfera.

         Informazioni per gli utenti.

 

 

Funzionamento

 

Il nucleo virtuale alla base del sistema SCOOT è un software Kernel eseguito in un processore centrale, coadiuvato da un software aggiuntivo (proprietario della compagnia che gestisce il sistema) che lo mette in comunicazione gli apparati fisici; il processore e gli altri dispositivi di gestione sono situati in apposite stanze di controllo e, a seconda delle dimensioni del sistema, possono essere supervisionati in tempo reale da operatori. La capacità di adattarsi a eventi imprevisti e reagire di conseguenza, richiede che l’apparecchiatura di rilevamento sia presente in ogni arco e posizionata con estrema precisione: il posizionamento deve avere luogo all’estremità di ogni arco, in corrispondenza della linea d’arresto; la componentistica più frequentemente utilizzata è quella delle spire induttive, grazie alle quali si risale alla progressione del traffico. I parametri del ciclo semaforico vengono poi adattati in base alle condizioni del traffico ogni 5 minuti (in caso di bruschi cambi del flusso veicolare, ogni 2 minuti e mezzo), ricercando la più efficace combinazione possibile. Prima della messa in funzione del servizio, il sistema viene adeguatamente calibrato: è questa una fase molto delicata, in quanto una regolazione non ben eseguita pregiudicherebbe un buon funzionamento.

 

 

 

Filosofia di funzionamento

 

Lo SCOOT coordina le operazioni di tutte le lanterne semaforiche dell'area interessata, garantendo al traffico veicolare una buona fluidità, adoperando piccole ma continue variazioni su ogni fase del ciclo semaforico. A differenza del sistema SCATS, lo SCOOT è basato su uno schema di base: usa infatti un modello TRANSYT per elaborare autonomamente un piano semaforico mediante un flessibile sistema di trasmissione gerarchica a seconda del traffico rilevato dagli appositi sensori.

Gli step del processo di funzionamento sono i seguenti:

         Ottimizza in tempo reale.

         Variazioni continue al sistema.

         Minimizza i ritardi.

         Tempi di reazione estremamente rapidi.

         Calcolo in tempo reale del profilo del traffico.

 

 

Dati richiesti

 

Per l'ottimizzazione totale della rete e la massima efficacia del sistema, è necessario che vengano raccolti i dati su tutti gli archi della rete interessata; in caso di archi non provvisti degli appositi dispositivi di rilevamento, l'infrastruttura software utilizza informazioni fisse o derivate dagli archi vicini.

 

 

Architettura

 

L'impianto logico del sistema SCOOT necessita di un monitoraggio continuo, gestito e coordinato dai vari componenti dell'infrastruttura:

         Il processore centrale esegue gli algoritmi temporali per determinare il nuovo ciclo semaforico.

         I controller locali gestiscono le autorizzazioni, controllano le soglie temporali minime e applicano localmente gli input provenienti dal processore centrale, in base alle regole fondamentali dell'ingegneria stradale.

 

 

Il sistema InSync

 

InSync è un sistema adattivo di controllo intelligente del traffico ideato dal Rythm Engineering, una compagnia fondata nel 2005 che opera nel settore dei trasporti. è pensato non come un miglioramento delle architetture già presenti, ma come un metodo di controllo inedito, che puntava ad una sorta di emulazione di uno scenario che prevedesse la presenza di ingegneri stradali informati sullo stato del traffico in ogni intersezione, capaci quindi di eseguire immediati interventi sui cicli semaforici in base alla domanda veicolare, anche mediante "previsione" dell'evoluzione del traffico nell'arco di qualche minuto. ed è usato negli Stati Uniti d'America (in 18 stati), interessando un totale di più di 650 intersezioni e più di 2 milioni di veicoli interessati. I dispositivi fisici principali che consentono il funzionamento del sistema sono gli apparati di rilevazione del traffico veicolare e un computer centrale: gli apparecchi di rilevazione sono generalmente delle videocamere (collegate al sistema mediante una connessione Ethernet) sparse lungo i tronchi stradali, che determinano il numero dei veicoli e misurano il loro tempo di percorrenza, mentre il processore è disposto in un'apposita cabina nei pressi dell'intersezione e dispone i cicli semaforici più adatti coordinandoli con quelli delle altre intersezioni. L'ottimizzazione locale del sistema InSync si serve di sensori digitali che, rilevando e misurando la coda e il ritardo medio dei veicoli, assegna dinamicamente le priorità nella maniera più efficiente possibile.

 

 

Funzionamento

 

La struttura InSync prevede tre operazioni da svolgere in sequenza:

         Operazione di digitalizzazione dei dati, che converte i segnali semaforici analogici in segnali digitali. Il sistema sceglie di volta in volta lo stato che meglio soddisfa le condizioni del traffico rilevato e gli obiettivi specifici di ogni intersezione.

         Un ottimizzatore locale esegue i calcoli per minimizzare i ritardi in ogni intersezione. Per permettere la corretta esecuzione, le videocamere misurano costantemente il volume del traffico e il ritardo veicolare dividendo le corsie in segmenti e contando quanti di essi contengono veicoli; in alcuni casi, vengono adoperati sensori magnetici, sensori a microonde o spire induttive, talvolta anche abbinati ai sistemi video. Successivamente, un apposito algoritmo interviene istantaneamente per ridurre le grandezze rilevate, elaborando più scenari, ciascuno rappresentante una possibile soluzione di segnalizzazione, e individuando il migliore.

         Un ottimizzatore globale coordina e sincronizza il sistema per adattarlo all'intera rete in oggetto, cercando di assicurare meno stop possibili ai veicoli in circolazione. Viene adoperato un procedimento che struttura via software alcuni "tunnel verdi" virtuali sulle corsie e ai quali sono associati i verdi del semaforo per i veicoli presenti nel loro interno.

 

 

Architettura

 

La struttura InSync presenta uno schema di funzionamento simile a quello degli altri sistemi di controllo adattivo del traffico: i sensori, generalmente costituiti da videocamere, conteggiano i veicoli presenti, registrandone il dato e inviandolo al processore centrale mediante un collegamento Ethernet. Successivamente, i dati vengono processati per l'ottimizzazione locale e globale: la prima si serve di sensori digitali rilevano l'esatto numero dei veicoli che devono impegnare l'intersezione e misurano il loro tempo di attesa; la seconda crea i "tunnel verdi" in ogni ramo stradale coordinandone la frequenza e la durata. L'architettura di questo sistema consente, inoltre, l'individuazione di eventuali problemi all'infrastruttura, quali guasti o impedimenti funzionali dovuti a eventi meteorologici, con relativa immediata comunicazione al personale di manutenzione; nel lasso di tempo che precede l'intervento di risoluzione del problema, il sistema lavora basandosi sui dati già registrati nelle quattro settimane immediatamente precedenti, oppure mettendo in atto piani orari preimpostati.

 

 

Dispositivi di rilevamento

 

Il sistema InSync adopera, generalmente, una rete di videocamere impermeabili per la rilevazione del flusso veicolare, ma, a seconda delle caratteristiche dell'intersezione, talvolta vengono usate una delle due seguenti soluzioni: il sistema InSync Tesla sostituisce i dispositivi video con quelli a rilevazione magnetica, ad ultrasuoni o a microonde, abbattendo decisamente i costi; il sistema InSync Fusion, invece, adopera una di queste tecnologie tradizionali ma integrandola con la rete di videocamere, incrementando notevolmente la precisione.

 

 

Apparati fisici

 

Tutte le infrastrutture InSync hanno in comune:

         Un processore centrale con software dedicato, che memorizza e registra la grande mole di dati proveniente dai rilevatori.

         Fino a 4 videocamere per i sistemi InSync e InSync Fusion; una videocamera con campo visivo a 360° per i sistemi InSync Tesla.

         Un pannello di controllo per il sistema di alimentazione elettrica e per la connessione Ethernet; è provvisto di vari meccanismi di sicurezza e protezione.

         Connessione al controller.

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia e fonti

Misagh Ketabdari, “Analysis of Adaptive Traffic Control Systems and design of a Decision Support System for better choice”.


Proposta di un nuovo sistema semaforico adattivo

 

È evidente come un’infrastruttura semaforica adattiva attivata da veicoli strumentati debba avere alla base un sistema di comunicazione estremamente rapido, nonché efficace e diffuso a larga scala; lo sfruttamento delle attuali tecnologie di connessione restituisce una funzionalità ampiamente affidabile per risultati e durabilità. L’individuazione degli appositi servizi è piuttosto immediata, ricadendo intuitivamente sugli strumenti di determinazione della posizione e di instaurazione della connessione mobile ad un sistema unico, ormai alquanto noti; i servizi di geolocalizzazione odierni consentono una precisione di alto livello e un costo per lo sfruttamento nullo, mentre quelli per la connessione richiedono il pagamento di un importo alquanto ridotto, generalmente periodico, grazie anche alla concorrenza decisamente “agguerrita” delle compagnie telefoniche. Il tutto verrebbe coordinato da una piattaforma software leggera, versatile e facilmente aggiornabile.

 

 

La scelta del dispositivo di comunicazione

 

La necessità di mantenere uno scambio di informazioni costante fra l’utente della strada e l’infrastruttura richiede che i dispositivi di comunicazione delle informazioni sulla circolazione siano a stretto contatto con i veicoli circolanti; perciò, la prima questione da specificare è la parte fisica che andrà a “nutrire” il sistema.

L’obiettivo può teoricamente essere conseguito provvedendo all’installazione di tali dispositivi sui veicoli stessi, dotandoli quindi di un ricetrasmettitore GNSS, di un modulo per la connessione alla rete dati, di una unità di elaborazione dedicata e di un software apposito in grado di gestire e coordinare nel modo più opportuno il flusso dei dati; le automobili, d’altronde, sono naturalmente predisposte ad accogliere questi dispositivi, disponendo ormai di numerose strumentazioni tecnologiche a bordo, che consentono un’elevata e sempre più crescente interazione tra l’utente e il veicolo stesso.

Un esempio concreto è proprio il dispositivo GNSS installato direttamente nell’equipaggiamento di alcuni veicoli, normalmente adoperato per condurre l’utente della strada ad una destinazione di cui ne ignora la posizione e/o la strada per raggiungerla.

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 4.1 – Un tradizionale navigatore satellitare installato in un’automobile

 

 

La tecnologia di geolocalizzazione ha avuto un excursus lungo oltre mezzo secolo, trovando i primi utilizzi all’inizio degli anni ’60 in applicazioni scientifiche e militari, per le quali gli Stati Uniti d’America idearono un sistema basato su satelliti orbitanti intorno alla terra denominato TRANSIT [1]; uno dei primissimi impieghi di una certa rilevanza ebbe luogo addirittura sulla Luna, sulla cui superficie gli astronauti della missione Apollo 15 si muovevano tramite un mezzo gommato equipaggiato con sensori di geolocalizzazione per orientarsi e permettere di “tornare” alla navicella se fuori dal loro campo visivo.

Fig. 4.2, 4.3 – Il veicolo lunare usato sulla Luna dagli astronauti della missione Apollo 15

 

Il sistema TRANSIT continuò ad evolversi con gli anni, arrivando a comporre la rete di satelliti che diede il via al servizio GPS (Global Positioning System). Fu, però, solo alla fine degli anni ’80 che il servizio cominciò la sua diffusione in ambito civile: l’azienda tedesca Blaupunkt portò nel mercato delle automobili il primo navigatore satellitare, creando di fatto un mercato totalmente nuovo [2] che continuò a muoversi negli anni seguenti, anche se a ritmi estremamente lenti.

 

Fig. 4.4 – Un esemplare della Oldsmobile Eighty Eight della decima serie, una delle prime autovetture della storia a montare un navigatore satellitare a bordo (1995)

 

Fig. 4.5 – Il dispositivo GPS a bordo della Oldsmobile Eighty Eight

Tuttavia, fino agli anni 2000, la precisione dei navigatori satellitari era scadente, essendo caratterizzata da un margine di errore intorno ai 150 metri (dovuto alla decisione delle forze armate statunitensi di introdurre volontariamente un degrado di precisione agli usi civili). La situazione cambiò radicalmente sotto il governo Clinton (1993-2001): il 2 maggio del 2000, fu definitivamente bandito l’uso dei satelliti “pubblici” da parte delle forze armate, relegando, quindi, lo sfruttamento a soli scopi civili; le conseguenze sulle performance furono drastiche, la precisione aumentò di circa 10 volte, offrendo quindi agli utenti un servizio molto più affidabile [1]. I primi navigatori satellitari prodotti in larga scala sono il Tom Tom e il Garmin, risalenti ai primi anni 2000, anche se il costo non era ancora propriamente accessibile [3].

Fig. 4.6, 4.7 – Il TomTom Navigator e il Garmin StreetPilot, i primi navigatori satellitari lanciati dalle rispettive aziende

 

 

Con gli anni, però, i prezzi si sono rapidamente abbattuti, e il naturale affinamento della tecnologia ha portato con sé molti miglioramenti in termini di prestazioni, velocità e anche di versatilità: negli ultimi anni la Blaupunkt ha introdotto nel mondo della navigazione portatile le funzioni di assistenza alla guida e di video-navigazione [2]. Ad oggi, il settore della navigazione satellitare è in continua evoluzione, avendo in programma grossi miglioramenti sull’interfaccia e sulla fruibilità del servizio, legati a una migliore simbiosi con l’autoveicolo.

Se fino ai primi anni 2000 era considerato un optional di lusso, presente solamente sulle vetture più costose, la diffusione negli anni a venire è stata vertiginosa: al 2014, in Italia il navigatore satellitare è uno degli optional scelti nel 47% delle automobili vendute, alle quali, tra l’altro, è doveroso aggiungere quelle che lo montano di serie, vale a dire più di un’automobile venduta su due ha installato a bordo questo dispositivo [2].

Ma, per quanto concerne l’uso del navigatore satellitare come accessorio di autovetture con finalità di ottimizzazione delle prestazioni fornite dalle infrastrutture di trasporto su gomma, è opportuno che i dati vengano contestualizzati data la particolarità del contesto che richiede di affrontare valutazioni differenti: seppur i dati riguardanti lo sviluppo delle tecnologie di geolocalizzazione sono estremamente incoraggianti, l’idea di sfruttare a tale scopo i dispositivi di geolocalizzazione direttamente installati nelle automobili porta con sé problematiche di una certa importanza. Innanzitutto, le strade hanno ancora una grossa percentuale di automobili non proprio recentissime, sprovviste di navigatore satellitare; in Italia, secondo un’analisi statistica stilata dal Centro Studi e Statistiche Unrae, il parco circolante automobilistico ha un’età media di 10,5 anni e, su un totale di quasi 38 milioni di vetture immatricolate, addirittura 9 milioni e mezzo di esemplari hanno almeno 17 anni di vita (cioè messe su strada nel 2001 o prima) [4]. Difficile, a quel punto, provare a spronare i proprietari a installare l’apparecchiatura necessaria: la spesa potrebbe essere sostenuta, perché, se da una parte il costo delle componenti fisiche non è eccessivo, dall’altra parte vi è il valore economico della manodopera richiesta per l’intervento che non deve essere sottovalutato se si tiene in conto che il design vetusto della parte elettronica delle vecchie automobili non agevola l’operazione e potrebbe costringere a modifiche piuttosto importanti (si pensi ad esempio alla difficoltà di montaggio dell’eventuale terminale che vada a interfacciarsi con l’utente); inoltre, i tempi di intervento indefiniti, nonché la potenziale già citata invasività dell’intervento, possono “spaventare” l’utente della strada, che non si priverebbe della propria auto a cuor leggero con queste premesse. Le complicazioni, comunque, sono ben presenti anche nelle automobili moderne, dato che anche chi è in possesso di mezzi idonei potrebbe non essere interessato a questo sistema (per motivi di privacy ad esempio), oltre a dover valutare il contesto anche dal lato dei costruttori, la cui disponibilità è tutta da verificare, specialmente pensando ad un contesto di dimensioni importanti; perciò, il bacino d’utenza della auto moderne provviste di apparecchiatura di geolocalizzazione non è da considerarsi effettivo nella sua interezza per lo scopo in esame, dato che lo sfruttamento reale sarebbe una grossa incognita.

Il discorso è analogo anche per quanto concerne la connessione alla rete dati: il modulo telefonico di bordo, introdotto nelle automobili ormai decenni fa, necessitava di una scheda telefonica per il normale funzionamento, ma, con la brusca espansione del settore della telefonia mobile, il concetto del tradizionale telefono di bordo divenne presto obsoleto e venne spontaneamente accantonato in via definitiva, dato che ormai, dal punto di vista dell’utente, era diventato inutile utilizzare una scheda telefonica per l’uso esclusivo all’interno dell’automobile; inoltre, lo sviluppo della tecnologia Bluetooth rivoluzionò il concetto del telefono integrato, riuscendo a connettere l’autovettura direttamente al cellulare personale dell’utente della strada e, di conseguenza, entrando ben presto a far parte dell’elenco degli optional di moltissime automobili, con i produttori che videro immediatamente i vantaggi nel dare ai propri clienti la stessa funzionalità ad un costo estremamente inferiore rispetto a quello di un modulo telefonico integrato.

Per cui, se con un approccio piuttosto intuitivo l’automobile sembrerebbe far bene la parte di componente pienamente attivo e in diretta connessione ad un sistema di impianto semaforico adattivo, in realtà, con un’analisi più approfondita, si comprende facilmente come essa non si presta allo scopo nel modo più appropriato, risultando anzi inadeguata nell’insieme.

Oggi però, ogni qual volta che si pensa a qualche ritrovato tecnologico, il pensiero va immediatamente ai moderni smartphone, che ormai racchiudono praticamente nel palmo della propria mano una serie di tecnologie che fino a pochi anni fa erano esclusiva di dispositivi realizzati appositamente e di dimensioni generose, abbinati inoltre a grandi capacità di connessione; il tutto ad un costo variabile nelle numerosissime fasce di mercato, che si adattano egregiamente alle tasche e alle esigenze di tutti.

 

Fig. 4.8 – La connettività di un qualsiasi smartphone include tutti gli standard di comunicazione più diffusi

 

 

Sono proprio gli smartphone la chiave che “accende” la possibilità di dar vita a questa tipologia di impianto semaforico adattivo: dispositivi discreti, comodi, dalle numerosissime funzionalità e, soprattutto, caratterizzati da una diffusione estremamente capillare.

È infatti proprio quest’ultimo aspetto ad essere decisivo, che sposta la preferenza nettamente sugli smartphone.

Una recente ricerca statistica dell’azienda Deloitte [5], basata su interviste effettuate in 32 paesi diversi e riferita al 2017, ha raccolto alcuni dati sulla diffusione e sull’uso dello smartphone e relative abitudini, mostrando dei risultati piuttosto eloquenti:

·         L’82% è in possesso di almeno uno smartphone.

·         L’89% dei possessori di uno smartphone lo controlla la mattina entro un’ora dal risveglio, l’81% prima di andare a dormire e il 52% di notte.

·         In media gli utenti controllano il proprio smartphone accendendone lo schermo circa 47 volte al giorno; restringendo questa statistica nella fascia d’età compresa fra i 18 e i 24 anni, il dato sale a 86 volte al giorno.

 

Fig. 4.9 – La statistica illustrata in dettaglio e confrontata con i tre anni precedenti

 

 

·         Il 57% dei consumatori utilizza lo smartphone per leggere le notizie.

·         Il 45% dei consumatori utilizza lo smartphone per la riproduzione di contenuti multimediali.

·         Le applicazioni installate sono in media 23.

·         Un consumatore su quattro utilizza un piano dati illimitato.

 

Un altro dato interessante e riguardante solamente l’Italia evidenzia come le preferenze del tipo di connessione siano differenti dalla media europea: il 52% degli italiani preferisce la rete dati cellulare (anche con la disponibilità del Wi-Fi, mentre la media Europea è del 48%; inoltre il dato nostrano è il più alto se confrontato con tutti gli altri stati europei presi singolarmente.

Un’ulteriore analisi stilata da Recovery Data [6] evidenzia dati ancora più impressionanti: la percentuale di possessori di uno smartphone si avvicina al 90%, e si dà anche solamente un’occhiata al dispositivo addirittura circa 200 volte al giorno; gli utilizzi sono i più disparati, spaziando dall’informazione all’intrattenimento e lo svago.

 

Fig. 4.10 – Dettagli sull’utilizzo dello smartphone durante la giornata (Recovery Data)

 

 

L’agenzia creativa We Are Social [7] ha realizzato in collaborazione con Hootsuite un’altra collezione di dati, da cui risulta che l’Italia è al terzo posto nel mondo per penetrazione di utenti di telefonia mobile rispetto alla popolazione, raggiungendo un ragguardevole 83%, subito dietro Corea del Sud e Hong Kong.

Date queste premesse, è evidente come lo smartphone risulti ampiamente la piattaforma più fertile su cui puntare per lo sviluppo di questo sistema. Si osserva che il bacino d’utenza del settore mobile è di gran lunga il più flessibile, decisamente più ampio e, per questi motivi, potenzialmente fruibile, affidabile e anche facilmente fidelizzabile nel lungo periodo; a chiudere il cerchio, per quanto riguarda l’automobile, vi è l’ormai assoluta dipendenza dallo smartphone per la connessione alla rete dati, che rende quindi il solo mezzo stradale pressoché inservibile allo scopo in esame. Le tecnologie richieste sono invece ben presenti praticamente nella totalità degli smartphone in circolazione, dato che i sistemi di geolocalizzazione sono ad oggi racchiusi anche nelle scocche dei modelli più economici sul mercato, e la percentuale di dispositivi mobili connessi costantemente alla rete, come appurato e certificato dai dati statistici, è ormai elevatissima.

In aggiunta, la piattaforma software sulla quale verrebbe impostato il sistema richiederebbe solo l’installazione e una prima configurazione, dopodiché agirebbe silenziosamente in background senza alcun fastidio per l’utente, sfruttando il dispositivo di geolocalizzazione integrato nello smartphone e il modulo telefonico per la trasmissione di informazioni sulla rete dati.

 

 

La tecnologia GPS

 

La tecnologia GPS (abbreviazione di NAVSTAR GPS) sfrutta il segnale proveniente da almeno 4 satelliti per determinare la posizione esatta dell’apparato sulla Terra attraverso comunicazione tramite segnali radio. Il sistema si compone di 3 segmenti: il segmento spaziale, il segmento di controllo e il segmento utente. La copertura è presente su tutte le aree della Terra, a patto che siano visibili almeno i 4 satelliti richiesti, con precisione variabile principalmente a seconda delle condizioni meteorologiche e della qualità del ricevitore; le orbite dei satelliti sono comunque studiate in modo tale da renderne visibili almeno 5 da ogni punto del pianeta, di cui uno funge da “riserva” in caso di malfunzionamenti, ma eventuali ulteriori satelliti supplementari migliorano la precisione effettuando misurazioni ridondanti.

Il sistema satellitare GPS nello spazio è interamente di proprietà degli Stati Uniti d’America, che tiene attivo un gruppo di satelliti variabile, dai 24 ai 32 (31 attualmente).

Fig. 4.11 – Lo schema dei satelliti GPS che orbitano intorno alla Terra

 

Oltre a quello statunitense, comunque, esistono altri sistemi di posizionamento, basati su reti di satelliti indipendenti:

·         Il sistema russo GLONASS (Global Navigation Satellite System), dedicati alla milizia russa e disponibile anche ai civili dal 2007; i dispositivi elettronici più recenti (tra cui rientrano anche gli smartphone) hanno un’antenna in grado di comunicare sia con i satelliti statunitensi che con quelli GLONASS.

Fig. 4.12 – L’evoluzione del sistema di posizionamento GLONASS negli anni

 

·         La Cina tiene in funzione il sistema di posizionamento BEIDOU, la cui copertura riguarda la sola Asia, e ha in programma il sistema COMPASS da completare nel 2020.

·         L’India ha un suo sistema proprietario chiamato IRNSS, operativo dal 2012 e che copre l’India e l’oceano Indiano.

·         L’Europa ha un suo sistema di posizionamento, denominato Galileo; originariamente prevista per il 2019, l’entrata in servizio è stata in seguito anticipata al 2016.

 

Il posizionamento degli apparati che hanno accesso al servizio sfrutta il metodo di posizionamento sferico chiamato trilaterazione, che sfrutta la misurazione del tempo impiegato da un segnale radio a percorrere la distanza compresa tra il satellite e l’apparato ricevitore, semplicemente mettendo a confronto l’ora del segnale radio ricevuto con quella del ricevitore stesso: l’operazione restituisce un insieme infinito di punti equidistante dal satellite che origina il segnale (quindi una circonferenza); sfruttando lo stesso processo con altri due satelliti, si ottengono altre due circonferenze che si intersecano in un solo punto virtuale, che sarà quello teoricamente rappresentativo della posizione. Gli orologi del ricevitore, però, sono molto meno precisi degli orologi a bordo dei satelliti, essendo questi ultimi di tipo atomico; inoltre, come spiegato dalla teoria della relatività, il tempo “scorre più lentamente” sotto l’azione di un campo gravitazionale di una certa entità rispetto a quello sotto l’azione di un campo gravitazionale di minore intensità, per questo motivo l’orologio del satellite anticipa quello del ricevitore di circa 38 microsecondi al giorno, una differenza apparentemente insignificante, ma che andrebbe a tradursi in un errore di posizione di ben 15 km. C’è quindi bisogno del quarto satellite precedentemente citato che effettui la correzione dell’errore sul ritardo dell’orologio del ricevitore per riportare il margine di errore ai pochi metri che conosciamo, tramite la risoluzione di 4 equazioni in 4 incognite, di cui 3 riferite alle componenti spaziali di latitudine, longitudine e altitudine (determinate dalle 3 circonferenze) e un’altra riferita alla variabile temporale da correggere.

Il sistema risolve quindi 4 equazioni in 4 incognite (latitudine, longitudine, altitudine e tempo).

Negli smartphone, il ricevitore GPS è un piccolo chip saldato nella scheda madre in modo da metterlo in comunicazione con l’intera architettura hardware del dispositivo. Contrassegnato dal rettangolo blu, è coperto da una superficie per evitare interferenze:

 

 

La connessione alla rete

 

I dispositivi odierni fanno riferimento a standard internazionali, in grado di garantire interoperabilità tra le reti di tutto il mondo. L’attuale standard più impiegato è il GSM, appartenente alla tecnologia di seconda generazione 2G, la rete pioniera della trasmissione dati di tipo digitale. I moderni smartphone, però, sfruttano una connessione molto più rapida, anche grazie all’imponente espansione delle apposite infrastrutture che permettono di “sganciarsi” dalla rete dati 2G a quella 3G e 4G: infatti, seppur la copertura di queste ultime è inferiore e quindi meno stabile, le zone più popolate sono abbondantemente coperte dalle reti di ultime generazioni; d’altronde, la presenza esclusiva di copertura 2G è prerogativa di zone scarsamente frequentate. Attualmente, la grande mole di dati nell’esecuzione di moltissime operazioni compiute su internet richiede una certa velocità affinché esse vengano portate a termine in un lasso di tempo ragionevole; anche la più semplice ricerca sul motore di ricerca di Google è ormai quasi infattibile su rete 2G. D’altronde, ormai avvezzi alle dimensioni dei contenuti multimediali, i dati tecnici mettono in luce come sia effettivamente difficile pensare ad una preferenza della rete 2G, che arriva a un limite teorico di 400 kbps a fronte dei più di 300 Mbps della rete 4G. L’antenna telefonica degli smartphone è comunque in grado di switchare agilmente da un tipo di rete all’altra a seconda della copertura del segnale, assicurando quindi al dispositivo la massima velocità senza però rinunciare alla stabilità nelle aree non coperte da rete 3G o 4G.

Il modulo telefonico di un cellulare, di seguito evidenziato da un rettangolo blu, è un chip normalmente annegato nella scheda madre, al pari degli altri moduli.

Fig. 4.14 - Scheda madre di uno smartphone

 

L’Internet on Things

 

L’immensità di Internet consente una serie di applicazioni pressoché sterminata, in ogni campo e in ogni ambito, alla cui base vi è la condivisione e l’archiviazione praticamente illimitata di contenuti. L’integrazione nonché l’interazione sempre più ampia che riguarda moltissimi oggetti della nostra vita ha portato alla coniazione di un nuovo costrutto, l’Internet of Things, traducibile letteralmente come Internet delle cose, utilizzato per la prima volta da Kevin Ashton, ricercatore presso il Massachussets Institute of Technology: si riferisce all’estensione di Internet al mondo degli oggetti reali e dei luoghi concreti tramite installazione circuiti elettronici al loro interno, in modo tale da permettere una serie illimitata di interazioni [8]; secondo invece il professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei media digitali all’Università di Catania Davide Bennato, l’Internet delle cose <<indica una famiglia di tecnologie il cui scopo è rendere qualunque tipo di oggetto, anche senza una vocazione digitale, un dispositivo collegato ad internet, in grado di godere di tutte le caratteristiche che hanno gli oggetti nati per utilizzare la rete>>. Le caratteristiche essenziali degli oggetti connessi sono il monitoraggio e il controllo: il monitoraggio riguarda il comportamento dell’oggetto come sensore, in grado quindi di produrre informazioni e dati sull’ambiente circostante; il controllo, invece, implica il comando a distanza dei dispositivi tramite internet e senza adoperare tecnologie particolari [9].

L’obiettivo è quindi connettere ad internet qualunque tipo di apparato, in modo che essi possano eseguire azioni in maniera intelligente e risolvere problemi di vario genere; il concetto di Smart City, e congiuntamente di Smart Mobility, è una delle applicazioni più promettenti in assoluto.

Fig. 4.15 – La totalità dell’Internet of Things promette di rompere barriere spaziali e temporali

 

I numeri dell’espansione sono impressionanti: le maggiori società di ricerca, come Accenture tra le altre, stimano che si arriverà a più di 25 miliardi di apparati prima del 2020, per una spesa complessiva dell’hardware di oltre 3000 miliardi di dollari [8].

Fig. 4.16 – Google Home sarà uno dei principali promotori dell’Internet on Things nel settore della domotica

 

Tuttavia, nonostante si tratti di una novità sul punto di esplodere, l’Internet of Things è una tematica ancora di nicchia: una ricerca di Acquity Group [9] (un distaccamento della stessa Accenture), su una base di 2000 intervistati, illustra che l’87% di essi non ha mai sentito parlare dell’Internet degli oggetti, a prescindere dalla fruizione effettiva o meno di almeno un oggetto comune connesso a internet per queste finalità; ciò si traduce praticamente di una certa non conoscenza in materia a tal punto da ignorare di essere in possesso di un oggetto ad essa relativo. Il report The Internet of Things: The Future of Consumer Adoption” [9] dichiara che il 30% dei consumatori usa uno di questi dispositivi senza esserne consapevoli. È perciò evidente come a latitare siano adeguate campagne promozionali che, quanto meno, diffondano l’esistenza di questa tematica.

Un’altra importante barriera riguarda la privacy, contraddistinta dal timore che i dati acquisiti dal dispositivo possano essere trasmessi all’esterno. Il sopracitato Davide Bennato analizza la questione indirizzando la sua interpretazione sul monitoraggio e sul controllo: <<Gli scenari problematici sono due: la privacy e la sicurezza. Il primo punto è una conseguenza del monitoraggio. Se un oggetto IoT produce dati, questi potrebbero essere relativi a persone e al loro utilizzo. La manipolazione di queste informazioni ricadrebbe nel discusso campo della trasparenza e trattamento dei dati personali. La sicurezza è invece una conseguenza del controllo: se qualunque oggetto può essere comandato a distanza, potrebbe anche essere attaccato da criminali informatici>> [9].

Nel contesto dell’Internet delle cose, si inserisce la “porzione” riguardante il mondo dei trasporti, nota come Vehicle-to-infrastructure (letteralmente Veicolo-a/verso-infrastruttura), indicata con l’acronimo V2I (o v2i). Essa è un modello di comunicazione che consente la comunicazione e condivisione di informazioni tra i veicoli e le infrastrutture di una rete stradale, adeguatamente fornite di sensori di tipo visivo e ambientale che acquisiscono dati riguardanti, ad esempio lo stato del traffico, le condizioni del manto stradale e il meteo della zona; la comunicazione è comunque bidirezionale e sfrutta tecnologie di trasferimento di piccola portata. Lo sviluppo di questa tematica è in continuo divenire, specialmente all’estero: nel 2017 il Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti d’America ha sancito l’accelerazione del potenziamento dei sistemi V2I aiutando le amministrazioni locali nella parte tecnica, nella preparazione dei veicoli per adattarsi alle iniziative infrastrutturali e nella gestione dei dati in gioco; un punto molto delicato riguarda il finanziamento, che potrebbe coinvolgere, oltre alle tasse sul carburante e sul pedaggio autostradale normalmente pagate dai privati, anche i costruttori di automobili, che comunque andrebbero a beneficiare dell’accesso alla grande mole di dati generata dal V2I e della conseguente conoscenza [10].

 

 

Il funzionamento del sistema

 

I sistemi semaforici adattivi basati su veicoli strumentati trovano le loro fondamenta sulla tematica del Vehicle-to-Infrastructure, in cui la comunicazione tra automobili circolanti e le infrastrutture apposite è l’artefice che permette la realizzazione di questo complesso; la geolocalizzazione e il collegamento alla rete dati alimentano il funzionamento ideale dell’intera infrastruttura, dal momento che è proprio la posizione dei veicoli strumentati ad “attivare” il sistema.

Le automobili circolano normalmente nella rete costantemente monitorate dall’applicazione per smartphone che registra la posizione e le caratteristiche del loro moto. Fino a che i veicoli rimangono ad una certa distanza da una delle intersezioni attrezzate o comunque non si apprestano a dirigersi verso una di esse, il sistema li “trascura”, senza quindi tenerli in considerazione per un eventuale intervento sul ciclo semaforico di quel momento; se, invece, si dirigono verso una delle intersezioni ed entrano in un determinato raggio dal centro, all’infrastruttura a terra viene comunicato l’approccio di traffico veicolare all’incrocio, e regola di conseguenza il ciclo semaforico, “accompagnando” il veicolo strumentato fino al disimpegno dell’intersezione stessa, mantenendone il verde. Seppur da un punto di vista puramente concettuale il principio di funzionamento segua questo schema alquanto semplicistico, la regolazione reale dipende dal numero di veicoli e dall’algoritmo adoperato che aggiorna il suddetto ciclo; la situazione, ad esempio, si complica prevedibilmente con più veicoli che si apprestano a raggiungere l’intersezione da più archi, che magari incontrano una coda (rilevata e riconosciuta da una velocità di marcia estremamente bassa) che è bene smaltire al più presto. È inoltre opportuno ricordare che questo meccanismo si applica solamente ai veicoli strumentati, perciò, finché il numero di utenti che usufruiscono del sistema rimane molto basso, ad avvantaggiarsi di questo sistema saranno unicamente essi, a prescindere dal flusso effettivo di veicoli; tuttavia, con un tasso di penetrazione anche solo leggermente più ampio, sarà molto più probabile che la presenza di veicoli strumentati in determinati archi stradali finisca per rispecchiare effettivamente e in maniera attendibile la situazione di traffico realmente esistente, con tutte le conseguenze del caso che si riflettono sul sistema semaforico così in grado di smaltire concretamente i rami più intasati e dare benefici all’intera circolazione.

 

 

La progettazione del sistema

 

L’architettura fisica e virtuale di un sistema semaforico adattivo attivato da veicoli strumentati si compone di uno schema relativamente semplice dal lato hardware, mentre si dimostra un po' più complesso per quanto riguarda il software, che richiede una programmazione adeguata e può accogliere uno fra i tanti tipi di configurazione possibili.

Una parte delle componenti fisiche è già esistente e, inoltre, non richiede interventi o manomissioni particolari, essendo praticamente già pronta per entrare in servizio.

La schematizzazione del modello include:

·         Gli smartphone degli utenti della strada.

·         Le lanterne semaforiche.

·         Un server centrale di controllo.

 

Chiaramente, i primi sono i dispositivi mobili a bordo dei veicoli, mentre gli altri componenti sono i dispositivi fissi a bordo strada, di cui il server è il componente fisico inedito di tutta l’infrastruttura.

 

 

Gli smartphone

 

La struttura di questo complesso richiede che siano proprio gli utenti della strada a contribuire attivamente al miglioramento del flusso veicolare, aderendo di persona per raccogliere i frutti della loro stessa partecipazione. Gli smartphone dei guidatori possono essere intesi come il “carburante” di questo sistema, grazie ai quali si mette in azione l’intera infrastruttura; sono i componenti che danno in pasto al server centrale i dati necessari al suo funzionamento, in modo tale da poter aggiornare continuamente il ciclo semaforico in esecuzione nella centralina di ogni lanterna. Senza gli input provenienti dagli smartphone degli utenti della strada, il processore presente nel server di controllo non dovrebbe eseguire alcuna operazione, e, quindi, le intersezioni sarebbero caratterizzate dallo stesso ciclo semaforico calcolato con il passaggio degli ultimi veicoli strumentati, finché non ne giunge uno nuovo che fa ripartire le operazioni nel server centrale; un’alternativa accettabile, specialmente nel caso in cui nuovi veicoli strumentati tardino ad entrare nel raggio d’azione e il flusso di traffico risulti palesemente squilibrato dall’ultimo ciclo semaforico calcolato, può prevedere il ritorno ad una fasatura fissa del tutto analoga a quella dei sistemi semaforici tradizionali, basata su una domanda media, magari ricavata proprio dai veicoli strumentati nei periodi di tempo immediatamente trascorsi o nei giorni precedenti alla stessa ora. I cellulari presenti nei veicoli si interfacciano col server per mezzo di un’applicazione apposita grazie alla quale lo smartphone riesce a comunicare la sua posizione, ma solamente secondo condizioni ben definite: il software conosce in ogni momento la posizione dell’hardware ma non comunica col server finché non arriva ad una certa distanza dal cuore di una delle intersezioni semaforizzate; esso, infatti, interagisce con un servizio di mappe (un esempio valido può essere OpenStreetMap, al quale può agganciarsi sfruttandone l’accesso libero e gratuito) nel quale è possibile fissare l’ubicazione delle intersezioni stesse e individuare così la distanza dal veicolo, comunicando quindi sulla rete dati solamente quando i requisiti specifici di posizione relativa all’intersezione sono soddisfatti. L’operazione di associazione del dispositivo, e quindi del veicolo, sulla mappa, ovvero sulla strada, è chiamata Map Matching. Il suo posizionamento, comunque, non avviene in maniera diretta, perché è necessario valutare la precisione non estrema degli strumenti utilizzati (alcuni smartphone sono più precisi di altri per ragioni di natura hardware, ma, talvolta, anche software), oltre che di zone con copertura di bassa qualità; per questo motivo viene introdotto l’errore GNSS, tramite il quale viene assegnato uno spostamento casuale in un dominio circolare di un predeterminato diametro attorno alla posizione dell’automobile effettivamente rilevata, più o meno grande a seconda della precisione dei dispositivi in gioco; un algoritmo minore dedicato restituirà la posizione da utilizzare effettivamente nelle successive operazioni di calcolo. Ad ogni modo, l’errore viene determinato tenendo in conto le ultime 5 coordinate ricevute, in modo tale da non ottenere situazioni fisicamente improbabili.

Per quanto riguarda l’invasività dell’applicazione, è bene anche specificare che essa sarebbe eseguita completamente nei processi in background, senza consumare preziose risorse computazionali all’hardware dello smartphone e senza quindi incorrere nel temutissimo cosiddetto battery draining dovuto ad un utilizzo eccessivo di CPU, RAM e della suddetta connessione quando non è necessaria. Questi accorgimenti non “appesantiscono” il dispositivo e il tutto avviene senza che l’utente subisca disturbi di alcun tipo nell’uso dello smartphone, oltre al fatto che non ha la necessità di effettuare operazioni di alcun tipo. Per quanto riguarda la determinazione della posizione, dal punto di vista puramente informatico il funzionamento dettagliato dell’applicazione prevede l’analisi e l’interpretazione di una stringa di codice generata dal dispositivo ogni qual volta il sensore di geolocalizzazione viene attivato, un oggetto che sta alla base di ogni applicazione che fa uso di tali servizi: essa contiene un insieme di dati di vario genere, dai quali un qualsiasi software di questa tipologia ne estrapola le informazioni necessarie di latitudine, di longitudine e di altitudine, e le converte a seconda dello scopo prefissato, ad esempio mostrando i risultati sullo schermo del dispositivo (come può essere appunto la posizione sulla mappa indicata da un segnalino) o filtrandoli per un utilizzo esterno. La stringa in questione è denominata NMEA 0183, <<uno standard di comunicazione usato dai GPS per comunicare i dati di posizione e tempo […]. Lo standard è stato sviluppato dal National Marine Electronics Association, un’associazione fondata nel 1957 da costruttori di dispositivi elettronici in ambito navale. La prima versione del protocollo risale a marzo 1983, successivamente è stata migliorata ed ampliata negli anni. Attualmente l’ultima versione è la 4.1 che ha introdotto, ad esempio, le sentence (stringhe propriamente codificate) per il sistema di posizionamento Galileo e l’AIS (Automatic Identification System) [11]>>.

 

 

Le lanterne semaforiche

 

Per quanto concerne le lanterne semaforiche, le uniche operazioni da compiere riguardano le rispettive centraline di controllo, che normalmente scandiscono l’esecuzione del normale ciclo fisso senza ricevere ulteriori input all’infuori del primo ed unico settaggio preimpostato al momento della messa in opera dell’impianto semaforico (settaggio che può comunque essere eventualmente modificato manualmente in seguito ad evidenti variazioni di domanda), mentre, con questo sistema, esse devono costantemente ricevere gli input che consentono la regolazione continua del ciclo semaforico; si andranno perciò a modificare alcune componenti interne della scheda e ad aggiungere apposite interfacce in modo da permettere la comunicazione elettronica con il server, o, in alternativa, si provvederà direttamente alla sostituzione.

Il server centrale di controllo

 

Il server di controllo è il componente fisico da realizzare ex novo, la cui installazione deve prevedere l’assegnazione di un posto dedicato a bordo strada. Ha il compito di ricevere le informazioni sulla posizione degli smartphone degli utenti della strada, elaborare i dati mediante un algoritmo interno basato sulla metodologia di deflusso del traffico selezionata per ricavare il ciclo semaforico aggiornato e inviare i risultati alle singole centraline delle lanterne; di fatto, è lo step intermedio tra i veicoli e i semafori, che fa sì che la presenza dei primi influisca sullo stato dei secondi. È quindi fornito di un’unità di elaborazione delle informazioni in ingresso, di un modulo in grado di connettersi alla rete dati per la ricezione delle indicazioni di traffico e di un sistema dedicato alla trasmissione dei risultati generati dal processore, che può avvenire a sua volta tramite connessione via rete cellulare (4G) o tramite collegamento cablato (tecnologia Ethernet); ovviamente, dalla tipologia di trasmissione scelta dipenderà l’interfaccia di comunicazione delle centraline, che perciò avranno a loro volta un’antenna radio nel primo caso o una presa per accogliere il cavo Ethernet nel secondo caso. Il calcolo del nuovo ciclo semaforico viene concretizzato nell’unità di elaborazione mediante un software da eseguire sulla base di uno specifico algoritmo, ovvero una regola che rappresenta l’obiettivo pratico da perseguire nelle caratteristiche del traffico veicolare; ad esempio, è possibile scegliere di regolare il ciclo semaforico in base alla lunghezza della coda, assegnando il verde quando essa raggiunge un determinato valore in uno degli archi, oppure in base al tempo di attesa medio dei veicoli in coda, assegnando il verde dopo il trascorrere di una determinata quantità di tempo in cui i veicoli sono fermi, il tutto magari affiancato da altre condizioni minori (un’eventualità può essere lo scatto del giallo, e poi del rosso, se la velocità di deflusso di un determinato ramo è troppo elevata, e quindi è necessario “generare” un po' di coda), e comunque rispettando sempre il valore minimo di verde previsto secondo la normativa. L’ottimizzazione del ciclo semaforico oscilla nella vastità degli algoritmi possibili: la scelta migliore dipende sostanzialmente dalle caratteristiche e dalla tipologia dell’intersezione, senza però l’esistenza di una regola ben precisa da seguire, dato che, nella fase di scelta, è l’intuito e l’abilità del progettista a fare la differenza e a prevalere nella concretizzazione del risultato finale e della sua efficacia. Infine, la corretta esecuzione del codice è garantita dalla “conoscenza” preventiva, da parte dell’hardware del server, dell’ubicazione delle lanterne semaforiche, dato che, nella fase realizzativa del progetto, si esegue la rispettiva mappatura in modo tale da poter relazionare la posizione delle stesse nei confronti della rete stradale e, ovviamente, nei confronti dei veicoli rilevati.

 

Bibliografia e fonti

[1] https://www.pcmag.com/article2/0,2817,2402755,00.asp

[2] http://www.repubblica.it/motori/sezioni/sicurezza/2014/05/09/news/i_40_anni_del_navigatore

_satellitare-85582873/

[3] http://www.rivistastudio.com/standard/gps-navigatore-cambiato-tutto/

[4] http://www.repubblica.it/motori/sezioni/attualita/2018/01/03/news/dieci_milioni_di_auto_con_

piu_di_17_anni_di_vita_in_italia_troppi_rottami_su_strada-185707324/

[5] https://www.digitalic.it/tecnologia/diffusione-smartphone-nel-mondo-2017

[6] http://www.enlabs.it/statistiche-utilizzo-smartphone-europa/

[7] https://www.wired.it/internet/web/2018/01/30/digital-2018-dati/

[8] https://www.internet4things.it/iot-library/internet-of-things-gli-ambiti-applicativi-in-italia/

[9] http://www.lastampa.it/2014/08/26/tecnologia/internet-degli-oggetti-l-delle-persone-non-sa-

cosa-sia-nZwZW48lypEmHcK92EGyZP/pagina.html

[10] https://whatis.techtarget.com/definition/vehicle-to-infrastructure-V2I-or-V2X

[11] https://ciaobit.com/nautica/come-funziona-protocollo-nmea-0183/


Test del sistema in ambiente virtuale

 

Le strategie di controllo dei semafori adattivi

 

La struttura sulla quale si fonda ogni sistema semaforico adattivo comprende delle caratteristiche specifiche che definiscono la tipologia di controllo esercitato: in base ai dati a disposizione e alla loro copertura sull’area da controllare, si distinguono due differenti modalità di controllo:

·         Il controllo semi-attuato è in grado di modificare in tempo reale alcuni parametri del ciclo semaforico avendo a disposizione una precisa raccolta dei dati di traffico fornita dai rilevatori, seppur il piano di base sia prefissato secondo una fasatura principale dalla quale ci si “distacca” quando richiesto. È adoperato nei rami che sfociano nell’intersezione qualora siano caratterizzati da un flusso di traffico mediamente basso, e quindi il verde non è richiesto in ogni ciclo completo ma solamente in presenza di veicoli che si approcciano all’intersezione; nei cicli successivi, qualora ci sia la necessità di riproporre il via libera al ramo stradale usualmente poco trafficato, deve essere riproposto il nuovo ordine delle fasi, in modo da evitare squilibri veicolari negli altri archi stradali. La durata del nuovo verde ha un suo limite minimo e un altro limite massimo: la durata effettiva dipende da parametri identificati dai rilevatori (quali distanziamento temporale tra i veicoli, lunghezza della coda e gradi di occupazione) o da eventuali richieste dagli altri rami per la fase successiva.

·         Il controllo attuato è una metodologia di variazione del ciclo semaforico più adatta a intersezioni caratterizzate da una significativa variabilità delle condizioni di traffico in tutti i bracci, senza perciò poter contare su un piano semaforico di riferimento. Si concretizza mediante un controllo in catena chiusa, in cui la durata del ciclo è determinata in funzione dei flussi veicolari (e, eventualmente, pedonali) della totalità dei rami stradali che sfociano nell’intersezione in esame, perciò tutti gli accessi sono monitorati; la successione delle fasi rimane comunque prefissata, perciò ad adattarsi sono solamente i tempi di verde. Questo sistema si fa preferire quando la presenza di presumibili squilibri veicolari può determinare inutili interruzioni di via libera sulla corrente più trafficata, oltre ad un calo della sicurezza dell’intersezione; è, inoltre, la metodologia che meglio si adatta ad eventuali impianti semaforici di intersezioni vicine.

 

La specificazione del ciclo semaforico può avvenire in base a diversi parametri, la cui scelta può definire fino a tre strategie di controllo:

·         L’attuazione a volume si basa sul distanziamento temporale tra due veicoli che si avvicinano all’intersezione. Per ogni arco stradale, trascorso il relativo rosso, il sistema garantisce un tempo di verde minimo, chiamato intervallo iniziale (I.I.), necessario a smaltire tutti i veicoli eventualmente presenti tra il rilevatore e la linea di arresto; una volta trascorso l’intervallo iniziale, il sistema permette comunque un’estensione del verde, concedendo un intervallo di tempo supplementare, denominato intervallo veicolare (I.V.), senza che arrivino necessariamente nuovi veicoli. L’eventuale passaggio di un veicolo (di seguito contrassegnato da un triangolo giallo) entro il termine dell’intervallo veicolare dà inizio ad un nuovo intervallo veicolare, prolungando ulteriormente la fase di verde, il tutto, comunque, senza oltrepassare un tempo massimo di verde complessivo preimpostato. L’aspetto del semaforo passa successivamente al rosso (ovviamente tramite sequenza giallo-rosso) quando:

·         Trascorre l’intervallo veicolare senza che giunga alcun veicolo.

 

Fig. 5.1 – Attuazione a volume con il raggiungimento di I.V.

 

 

·         Si raggiunge il tempo massimo preimpostato del verde, anche nell’eventualità in cui continuino ad arrivare nuovi veicoli.

 

Fig. 5.2 – Attuazione a volume con raggiungimento del massimo tempo di verde

 

 

·         L’attuazione a volume-densità prevede l’utilizzo dei valori di intervallo iniziale e di intervallo veicolare non costanti: l’intervallo iniziale è dipendente dal numero di veicoli effettivamente presenti tra il rilevatore e la linea d’arresto; l’intervallo veicolare è in prima battuta di valore relativamente elevato, ma viene poi progressivamente ridotto nel tempo secondo una legge decrescente scelta dal progettista, in modo che, col passare dei secondi e il deflusso dei primi veicoli, il valore concesso sia via via inferiore, mantenendo quindi il verde solamente a fronte di una portata veicolare crescente, ovvero una condizione ragionevolmente irrealizzabile e improbabile oltre un certo limite.

 

 

 

 

 

 

Fig. 5.3 – Attuazione a densità-volume con l’intervallo veicolare decrescente nel tempo

·         L’attuazione a densità lavora con un intervallo iniziale determinato tramite le stesse modalità di quelle adoperate nel controllo a volume-densità, mentre la variazione dell’intervallo veicolare dipende dal tempo trascorso dal momento dell’accensione del verde, dal numero di veicoli in attesa sulle altre fasi e dalla densità del traffico veicolare (in modo tale da impedire il prolungamento del verde se sopraggiungono veicoli sparsi dopo il passaggio di un plotone compatto).

·         L’attuazione a traiettorie è la metodologia che si adatta al meglio proprio nel caso dei sistemi semaforici regolati dall’elaborazione dei dati di localizzazione dei veicoli, garantendo il verde agli utenti provvisti del rispettivo software che consente la partecipazione a questa infrastruttura, specialmente finché la percentuale dei veicoli strumentati riferita a quelli totali rimane esigua.

 

 

Simulazione in ambiente virtuale e analisi delle prestazioni di un sistema semaforico adattivo attivato da veicoli strumentati

 

Caratteristiche della simulazione

 

Si propone ora la modellizzazione di una rete stradale composta da un’intersezione a 4 bracci regolata da un impianto semaforico adattivo attivato da determinate percentuali di veicoli strumentati, ovvero da differenti tassi di penetrazione; verranno scelti il 10%, il 15%, il 20%, il 25%, il 30 % e un meno realistico 100%, semplicemente per esaltarne gli effetti teorici. In seguito, verranno effettuate microsimulazioni del passaggio di due distinte ipotesi di traffico veicolare su di essa, che differiscono per la distribuzione della portata circolante nella rete: nel primo caso verrà considerata una distribuzione equamente proporzionata tra le due direttrici, mentre nel secondo caso i veicoli verranno ripartiti in maniera sproporzionata, come a voler ipotizzare un’intersezione tra una strada principale e una secondaria (verrà scelta una percentuale del 70% della portata veicolare per quanto riguarda la direttrice principale, il restante 30% sarà assegnato alla direttrice secondaria); ovviamente, le due diverse distribuzioni verranno simulate e analizzate in maniera completamente indipendente, facendo parte di due ambienti ben distinti e non potendo, di conseguenza, interagire in alcun modo tra di loro.

Successivamente, verranno nuovamente assegnati i due scenari di traffico (trattandoli sempre uno ad uno) nella stessa rete questa volta, però, regolata da altre tipologie di sistemi semaforici (anche queste esaminate singolarmente); verranno infatti considerati impianti a ciclo di tipo statico, la cui fasatura verrà individuata da un software dedicato che segue la formulazione illustrata nel capitolo 2, e impianti a ciclo di tipo adattivo, nello specifico attuato per volume, attuato per volume/densità, attuato per densità, semi-attuato per volume e semi-attuato per volume/densità, il cui rilevamento dei veicoli, però, è virtualmente effettuato tramite una delle tecniche illustrate nel capitolo 3. I semafori adattivi devono comunque rispettare delle soglie da non violare: nello specifico, il tempo di verde massimo non deve superare i 50 secondi, il tempo di verde minimo non può scendere al di sotto dei 7 secondi e l’intervallo massimo deve essere di 10 secondi. La differenza tecnica tra gli impianti adattivi regolati dal GNSS e quelli regolati dai sistemi tradizionali montati su strada risiede nel fatto che il rilevamento mediante geolocalizzazione non considera la totalità dei veicoli in circolazione, facendo parte solo di una minoranza di mezzi, mentre i sistemi tradizionali rilevano l’intero traffico su strada.

Verranno infine confrontati i dati di percorrenza del deflusso veicolare estrapolati mediante l’iter delle simulazioni eseguite dal software nelle due ipotesi di distribuzione del traffico, con l’obiettivo di analizzare il comportamento della rete nelle varie condizioni illustrate e di mettere in risalto le potenzialità di questa tipologia di sistema semaforico adattivo.

La rete stradale è costituita da una classica intersezione a 4 bracci avente le seguenti caratteristiche fisiche:

·         L’angolazione dei bracci è di 90°.

·         L’impianto semaforico è composto da quattro lanterne, una per ogni arco stradale.

·         Ogni braccio è lungo 100 m.

·         Ogni braccio è attraversabile nei due sensi di marcia.

·         All’uscita di ogni braccio è prevista la manovra di svolta a destra, la manovra di attraversamento e la manovra di svolta a sinistra.

·         Vi è una sola corsia per senso di marcia. L’assenza di corsie dedicate per ognuna delle tre manovre è dovuta al fatto che i sensori di geolocalizzazione non hanno un grado di precisione tale da poter individuare e riconoscere la corsia sulla quale si trova effettivamente posizionato il veicolo, e quindi il sistema non ha i mezzi tecnici per “sapere” in anticipo quale delle tre traiettorie il veicolo si appresta ad imboccare; per cui, seppur sarebbe teoricamente possibile modellizzare gli archi della rete con una corsia per ogni manovra, si struttura ogni arco con una corsia per ogni senso di marcia per aderire meglio al caso reale.

·         Ogni corsia è larga 3,6 m.

·         La velocità massima in ogni arco è di 50 km/h.

Il traffico veicolare presenta le seguenti connotazioni:

·         Il flusso veicolare che entra nella rete stradale è di 600 veic/h.

·         Riferendosi ad ogni braccio della rete, la ripartizione delle correnti veicolari tra la manovra di svolta a destra, la manovra di attraversamento e la manovra di svolta a sinistra è perfettamente equa.

·         I veicoli pesanti sono assenti, non per un vincolo dovuto a qualche limitazione tecnica del sistema, ma perché essi non influenzerebbero in alcun modo né la bontà delle simulazioni né l’efficacia del sistema.

 

Per quanto concerne il lato software, l’intero ambiente, composto dalla rete stradale e dai mezzi circolanti, viene riprodotto e caricato nel software di microsimulazione TRITONE, sul quale vengono poi regolati i seguenti parametri:

·         Le quattro estremità degli archi stradali dal lato opposto di quello che sfocia nell’intersezione sono nodi centroidi, cioè rappresentano l’origine e la destinazione di tutto il traffico veicolare; in pratica tra essi e il cuore dell’incrocio non vi sono centri di interesse per gli utenti della strada.

·         L’intervallo di tempo oggetto della simulazione è di un’ora.

·         L’assegnazione è di tipo esponenziale.

·         Lo stile di guida degli utenti della strada e le caratteristiche motorie dei veicoli sono casuali.

·         Il modello di car-following da utilizzare è quello di Gazis-Herman.

·         Per ognuna delle condizioni, verranno eseguite 20 microsimulazioni, dalle quali verranno poi estratti e considerati i valori medi, restituiti comunque dal software subito dopo la fine della procedura.

Fig. 5.4 - La rete modellizzata sul software TRITONE

 

 

Simulazione e presentazione dei risultati

 

Le 20 microsimulazioni di ogni ambiente vengono eseguite dal software nel giro di pochi minuti; al termine, vengono restituite tabelle dettagliate con informazioni su una vasta gamma di dati di traffico. Alle finalità dell’obiettivo che si ha intenzione di perseguire, si evidenzieranno i seguenti dati:

·         Il tempo cumulato impiegato da un veicolo per la percorrenza di tutta la rete.

·         Il tempo speso totale nella rete da tutti i veicoli, ovvero la somma dei vari tempi spesi da ogni veicolo per la percorrenza del proprio tragitto.

·         Il ritardo totale dei veicoli nella rete, dato semplicemente dalla differenza tra il tempo speso totale e il tempo di viaggio desiderato; quest’ultimo dipende dalle caratteristiche motorie del veicolo e dallo stile di guida dei vari utenti della strada (che sono stati impostati come casuali), e non deve essere confuso con il tempo a flusso libero, che dipende solo dallo stato del traffico veicolare nella rete.

·         Il ritardo medio in ingresso, definito come la differenza tra il tempo impiegato da un veicolo per raggiungere la linea d’arresto dell’intersezione a partire dal suo ingresso nella rete e il tempo di viaggio desiderato (casuale come descritto in precedenza); il valore è dato dalla media dei ritardi di tutti i veicoli nella rete.

·         I conflitti, che registrano situazioni prossime al sinistro stradale, senza però che si tramutino necessariamente in incidenti: sono perciò definiti come potenziali scontri. Esistono due parametri detti indicatori prossimali di sicurezza, la cui misura descrive le interazioni tra due utenti della strada coinvolti in un evento critico:

·         Il TTC (Time to Collision), cioè il tempo che, nelle diverse fasi del conflitto, occorrerebbe ad un veicolo per scontrarsi con l’altro utente della strada se fosse mantenuta la velocità relativa corrente; quando è in corso un conflitto, il valore di TTC varia nel tempo, e la misura critica della severità di conflitto diventa quindi il minimo valore di TTC. Il limite è pari a 1,5 sec. La sua formulazione è la seguente:

 

In cui Vf è la velocità del veicolo in esame (following), Vl è quella del veicolo che sta di fronte (leader) e d è la distanza fra i due veicoli. Essendo il TTC soggetto alla velocità relativa, nel caso in cui i veicoli viaggino l’uno in senso opposto all’altro si ha:

 

·         Il DRAC (Deceleration Request Avoid Collision), definito come la massima decelerazione richiesta per evitare l’impatto, ottenuta dalla fisica senza considerare gli attriti. Il limite è pari a 3,35 m/s2. Esso è uguale a:

 

In cui Vf è la velocità del veicolo in esame (following), Vl è quella del veicolo che sta di fronte (leader) e d è la distanza fra i due veicoli. Anche il DRAC, proprio come il TTC, è soggetto alla velocità relativa, perciò la formulazione nel caso in cui i veicoli viaggino l’uno in senso opposto all’altro è differente:

Al termine delle microsimulazioni, per la distribuzione di traffico che prevede la ripartizione equa dei 600 veic/h sulle due direttrici si ottengono i seguenti risultati:

 

Distribuzione 50% - 50%

 

Tempo cumulato [sec]

Tempo speso [h]

Ritardo [h]

Ritardo medio in ingresso [sec]

Conflitti

Statico

168,08

6,9537

4,5360

25,21

299

Attuato (volume)

164,34

6,8440

4,4405

25,15

292

Attuato (volume/densità)

163,13

6,8538

4,4421

24,98

291

Attuato (densità)

169,57

6,7798

4,3694

24,76

279

Semi-Attuato (volume)

159,56

6,7295

4,3174

24,98

247

Semi-Attuato (volume/densità)

154,55

6,3562

3,9505

22,68

248

Attuato (GNSS 10%)

163,76

6,7242

4,3165

24,19

262

Attuato (GNSS 15%)

162,61

6,6190

4,2071

23,28

255

Attuato (GNSS 20%)

160,53

6,4037

3,9772

22,17

242

Attuato (GNSS 25%)

163,22

6,2436

3,8200

21,31

239

Attuato (GNSS 30%)

145,70

5,9798

3,5490

19,97

229

Attuato (GNSS 100%)

100,82

4,7487

2,3425

12,92

158

 

Tab. 5.1 – Dati del deflusso veicolare con la distribuzione 50% - 50%

 

Mentre per la distribuzione del flusso al 70% su una direttrice e al 30% sull’altra direttrice, si ha:

 

Distribuzione 70% - 30%

 

Tempo cumulato [sec]

Tempo speso [h]

Ritardo [h]

Ritardo medio in ingresso [sec]

Conflitti

Statico

171,97

6,8633

4,4450

24,87

282

Attuato (volume)

171,16

7,0921

4,6759

24,96

293

Attuato (volume/densità)

174,40

7,3527

4,9063

25,60

306

Attuato (densità)

169,66

7,0916

4,6609

24,83

291

Semi-Attuato (volume)

165,22

7,1402

4,7195

25,08

275

Semi-Attuato (volume/densità)

163,26

7,0757

4,6505

23,88

306

Attuato (GNSS 10%)

170,64

7,1276

4,7123

24,77

275

Attuato (GNSS 15%)

167,58

6,8663

4,4289

23,46

259

Attuato (GNSS 20%)

159,75

6,5276

4,1331

21,88

246

Attuato (GNSS 25%)

161,60

6,4292

4,0075

21,26

245

Attuato (GNSS 30%)

160,30

6,1971

3,7676

20,22

235

Attuato (GNSS 100%)

96,82

4,7118

2,2834

11,87

155

 

Tab. 5.2 – Dati del deflusso veicolare con la distribuzione 70% - 30%

Riferendosi nuovamente alla distribuzione al 70% e al 30% sulle due direttrici, è anche possibile illustrare le tipologie di dati riguardanti i tempi cumulati e i ritardi sulle due direttrici, raggruppando a due a due le informazioni di un arco con quelle dell’altro arco appartenente alla stessa direttrice:

 

Ripartizione archi principali - archi secondari (distribuzione 70% - 30%)

 

Tempo cumulato sulla direttrice principale

[sec]

Tempo cumulato sulla direttrice secondaria

[sec]

Ritardo sulla direttrice principale

[h]

Ritardo sulla direttrice secondaria

[h]

Statico

66,35

71,33

2,9633

1,3353

Attuato (volume)

69,50

67,08

3,3570

1,1766

Attuato (volume/densità)

71,39

69,12

3,5408

1,2190

Attuato (densità)

68,87

66,43

3,3053

1,2124

Semi-Attuato (volume)

72,23

59,79

3,4077

1,1732

Semi-Attuato (volume/densità)

68,48

61,28

3,4639

1,0468

Attuato (GNSS 10%)

70,80

65,58

3,3942

1,1800

Attuato (GNSS 15%)

66,97

66,48

3,1777

1,1167

Attuato (GNSS 20%)

66,82

59,45

3,0165

0,9833

Attuato (GNSS 25%)

66,81

60,72

2,9035

0,9718

Attuato (GNSS 30%)

64,53

61,78

2,6924

0,9471

Attuato (GNSS 100%)

31,77

32,87

1,5404

0,6404

 

Tab. 5.3 –Tempo cumulato e ritardo del deflusso veicolare sulle due direttrici (distribuzione 70% - 30%)

 

 

Distribuzione 50% - 50%: confronto tra gli scenari e osservazioni

 

Si riporta di seguito il raffronto grafico tra le varie tipologie di semafori del tempo medio di percorrenza dell’intera rete per veicolo:

Fig. 5.5 - Analisi del tempo cumulato (distribuzione 50% - 50%)

 

 

Eccezion fatta per la tipologia attuata per densità, che fra tutti si rivela l’impianto meno efficace, tutte le altre modalità adattive fra quelle attivate da sensori di rilevamento tradizionale offrono performance migliori di quelle che può garantire un sistema caratterizzato da un semplice ciclo statico, trovando nella tipologia semi-attuata per volume/densità i migliori risultati, assestandosi ben al di sotto di 160 secondi; per quanto riguarda i cicli semaforici dipendenti da veicoli strumentati, finché il tasso di penetrazione rimane inferiore o uguale al 25%, non si ottengono particolari vantaggi dal loro impiego, rimanendo in linea con le strumentazione di rilevamento tradizionale, mentre al 30% si ha un sensibile miglioramento che rende questo sistema con questo tasso di penetrazione la migliore scelta in assoluto per l’economia della rete. Infine, si nota come un teorico tasso di penetrazione del 100% offre performance di gran lunga superiori a tutte le altre modalità.

Di seguito, si illustra il paragone del tempo speso totale in rete:

 

 

Fig. 5.6 - Analisi del tempo speso totale (distribuzione 50% - 50%)

 

 

L’impianto di tipo statico è tra tutti quello peggiore per l’economia della rete, mentre, tra i sistemi di tipo adattivo tradizionale, la tipologia migliore è quella semi-attuata per volume-densità; i semafori attivati da veicoli strumentati offrono ottimi risultati già a partire da bassi tassi di penetrazione, risultando i migliori già quando la percentuale tocca il 20% e rimanendo addirittura al di sotto delle 6 ore di tempo speso quando la percentuale raggiunge il 30%. Il tasso di penetrazione del 100% mostra nuovamente risultati eccellenti.

Per quanto riguarda il ritardo totale dei veicoli nella rete, il confronto offre i seguenti risultati:

Fig. 5.7 - Analisi del ritardo totale (distribuzione 50% - 50%)

 

 

Il ciclo statico è quello peggiore anche in questo dato, sebbene la quasi totalità dei sistemi attuati con rilevamento di tipo tradizionale non si discostino molto; l’eccezione è le modalità semi-attuata per volume/densità, che garantisce un ritardo totale inferiore alle 4 ore. La modalità di rilevamento tramite GNSS offre risultati molto competitivi con un tasso di penetrazione pari al 20%, migliorando con il crescere della percentuale fino a mostrare il solito picco di prestazioni al 100%, che garantirebbe un ritardo totale quasi dimezzato rispetto a quello del ciclo semaforico statico.

Si analizzano ora i risultati riguardanti il ritardo medio in ingresso, per individuare il sistema semaforico che minimizza il tempo impiegato per raggiungere la linea d’arresto dopo l’entrata nella rete:

 

Fig. 5.8 - Analisi del ritardo medio in ingresso (distribuzione 50% - 50%)

 

 

Come nel caso del ritardo totale, prevedibilmente anche il ritardo medio in ingresso presenta la stessa situazione: i cicli di tipo statico, attuato per volume, attuato per volume/densità e semi-attuato per volume causano un ritardo medio di 25 secondi rispetto al tempo di viaggio desiderato, mentre il dato è migliore con il sistema semi-attuato per volume/densità di quasi 3 secondi; la metodologia GNSS dà risultati discreti anche con tassi di penetrazione bassi, arrivando a primeggiare quando la percentuale raggiunge il 20%, migliorando ulteriormente al suo crescere. Al 100%, il ritardo medio è nuovamente dimezzato rispetto al ciclo statico.

Si osserva, infine, il confronto sui conflitti.

Fig. 5.9 - Analisi dei conflitti (distribuzione 50% - 50%)

 

 

Il semaforo statico risulta quello meno sicuro per la rete in esame, con quasi 300 conflitti; i sistemi attuato per volume, attuato per volume/densità e attuato per densità sono leggermente più sicuri, mentre nel caso dei sistemi semi-attuato per volume e semi-attuato per volume/densità i conflitti sono meno di 250. La metodologia basata su veicoli strumentati causa poco più di 250 conflitti per bassi tassi di penetrazione, ma risulta la più sicura a partire da una percentuale pari al 20%; l’irrealistica percentuale del 100% garantisce poco più di 150 conflitti.

 

 

Distribuzione 70% - 30%: confronto tra gli scenari e osservazioni

 

Si presentano ora i tempi medi di percorrenza dell’intera rete per veicolo per ciascuna tipologia di ciclo semaforico:

Fig. 5.10 - Analisi del tempo cumulato (distribuzione 70% - 30%)

 

 

Come nel caso della distribuzione al 50% - 50%, i tempi più alti non sono dati dal ciclo statico; è il ciclo attuato per volume/densità ad essere il peggiore, mentre il ciclo statico offre risultati in linea con il tipo attuato per volume e attuato per densità. Si apprezzano piccoli vantaggi adoperando la metodologia di controllo semi-attuato, mentre i sistemi GNSS cominciano a dare i loro frutti con un tasso di penetrazione del 20%, oscillando intorno ai 160 secondi di tempo di percorrenza; il tasso di penetrazione massimo assicurerebbe un tempo inferiore a 100 secondi.

Per quanto riguarda il tempo speso totale nella rete, si ottiene quanto segue.

Fig. 5.11 - Analisi del tempo speso totale (distribuzione 70% - 30%)

 

 

Questa volta, a differenza di quanto accade nel caso della distribuzione al 50% - 50%, un ciclo statico ben dimensionato, con il suo tempo speso totale inferiore alle 7 ore, risulta addirittura più efficace rispetto a tutti i tipi di cicli semaforici controllati da strumentazioni di rilevamento tradizionali, i quali sono caratterizzati da un valore che si spinge oltre le 7 ore; la metodologia di controllo attuato per volume/densità sfiora addirittura le 7 ore e mezza. Risultano, invece, estremamente positivi i risultati offerti dal controllo adattivo tramite i veicoli strumentati, che danno benefici sensibili a partire da un tasso di penetrazione del 20%, andando poco oltre le 6 ore quando è pari al 30%. La percentuale teorica del 100% rimane perfino al di sotto delle 5 ore.

Si illustrano ora i dati che riguardano il ritardo totale.

Fig. 5.12 - Analisi del ritardo totale (distribuzione 70% - 30%)

 

 

Anche in questo caso, tutte le metodologie di rilevamento veicolare tradizionale causano un dato peggiore rispetto a quello che riguarda il ciclo statico: le prime, infatti, causano ritardi totali superiori alle 4 ore e mezza (il tipo attuato per volume/densità si avvicina alle 5 ore), mentre il secondo ne sta al di sotto. Il controllo adattivo mediante tecnologia GNSS, invece, offre un risultato paragonabile con un tasso di penetrazione pari al 15%; la situazione diventa vantaggiosa quando questa percentuale raggiunge il 20% e sta a cavallo delle 4 ore di ritardo totale al 25%, mentre ne sta abbondantemente al di sotto al 30%. La percentuale del 100% sta poco al di sopra delle 2 ore di ritardo totale, ovvero la metà di molti degli altri casi.

Per quanto riguarda invece il ritardo medio in ingresso, l’analisi è la seguente.

Fig. 5.13 - Analisi del ritardo medio in ingresso (distribuzione 70% - 30%)

 

 

In questo caso, la metodologia di controllo semi-attuato per volume/densità offre un leggero beneficio rispetto al ciclo semaforico statico, mentre il controllo attuato per volume/densità è leggermente svantaggioso; gli altri tre sistemi sono in linea con il ciclo fisso, assestandosi sui 25 secondi circa. Il controllo mediante GNSS offre miglioramenti apprezzabili già a partire da una percentuale di veicoli strumentati del 15%, scendendo fino ai 20 secondi nel caso in cui essa sia uguale al 30%. La percentuale del 100% garantirebbe ritardi medi in ingresso di appena 12 secondi.

Si osservano ora i paragoni sui conflitti tra i veicoli.

Fig. 5.14 - Analisi dei conflitti (distribuzione 70% - 30%)

 

 

Escludendo la tipologia di controllo semi-attuato per volume, il ciclo di tipo statico si dimostra più sicuro di tutte le altre metodologie che si basano su tecniche di rilevamento tradizionali (ii tipi attuato per volume/densità e semi-attuato per volume/densità superano addirittura la soglia dei 300 conflitti. Il sistema controllato da veicoli strumentati si dimostra fin dal tasso di penetrazione del 10% discretamente sicuro, risultando il migliore delle altre tipologie di controllo già quando questa percentuale raggiunge il 15%; quando essa raggiunge il 20%, i conflitti si riducono a meno di 250, e la situazione continua a migliorare man mano che cresce. Al 100%, il dato quasi tocca i 150 conflitti, assestandosi poco al di sopra.

In conclusione, si controllano le ripartizioni del tempo cumulato e del ritardo totale sulla direttrice principale e su quella secondaria.

Fig. 5.15 – Ripartizione del tempo cumulato sulle due direttrici

 

 

Fig. 5.16 – Ripartizione del ritardo totale sulle due direttrici

Per quanto riguarda il tempo cumulato, solo il ciclo statico e quello attivato dalla tecnologia GNSS con un irrealistico tasso di penetrazione del 100% sbilanciano il tempo cumulato a favore della direttrice principale, mentre tutti gli altri sistemi presentano la situazione opposta; nello specifico, i cicli semaforici regolati da veicoli strumentati tendono a equiparare la ripartizione quando il tasso di penetrazione è pari al 10%, al 15% e al 30%, mentre la sbilanciano leggermente a favore della direttrice secondaria quando è uguale al 20% e al 25%.

Il grafico del ritardo totale mostra una situazione nettamente sbilanciata a vantaggio della direttrice secondaria; il ritardo è ripartito con una percentuale relativa alla direttrice principale leggermente inferiore al 70% quando la rete è regolata dal ciclo semaforico di tipo statico e leggermente superiore allo stesso valore quando è regolata dal ciclo semaforico attivato da una quantità di veicoli strumentati pari al 100%, mentre sta ben al di sopra del 70% con tutte le altre modalità di controllo. Non vi è, quindi, la possibilità di ripartire in maniera più equa il ritardo totale.


Conclusioni

 

Le peculiarità dei sistemi semaforici adattivi offrono un ventaglio di soluzioni tecniche che si discosta non solo da quelle utilizzate comunemente nei semafori “di tutti i giorni”, ma anche dal resto del settore: l’idea di considerare gli smartphone come parte della strumentazione del sistema stesso è una novità assoluta. Un’altra tematica inedita, nonché conseguenza immediata del punto precedente, riguarda l’utente della strada stesso, ora non più solo elemento che usufruisce dei servizi, ma che, per la prima volta, diviene parte attiva e integrante del sistema, senza il quale verrebbe meno il funzionamento e la struttura intrinseca del sistema stesso; la scelta di partecipare potrebbe inizialmente avere finalità piuttosto egoistiche, dato che, fin quando il numero di “partecipanti” rimane esiguo, la natura del complesso tende a favorire nettamente quei pochi utenti che aderiscono al progetto, ma, visto in un’ottica temporale a lungo termine, l’eventuale raggiungimento di una certa diffusione darebbe grossi benefici a tutto il traffico veicolare.

L’estrema fruibilità di tutto il meccanismo è un ulteriore incentivo per i guidatori, mentre gli impressionanti numeri statistici riguardanti gli smartphone hanno spontaneamente generato l’idea sulla quale si basa effettivamente questa tipologia di semaforo adattivo; in tal senso, un ruolo chiave sarebbe sicuramente svolto dal gruppo software, il quale deve essere concretizzato da un’applicazione che deve illustrare il funzionamento del sistema in modo chiaro e trasparente, per disciogliere ogni eventuale dubbio.

Anche l’idea di sfruttare la semplice connessione al web trova spazio in mezzo alle nuove idee nate negli ultimi anni, i cui orizzonti stanno espandendosi sotto i nostri occhi, ma spesso senza la consapevolezza di chi comincia a farne uso: l’Internet on Things farà ben presto parte della vita quotidiana dell’essere umano, e anche l’applicazione di internet a dispositivi di controllo stradale come i semafori rientrerebbe in pieno in questo ambito di nuova generazione.

Per quanto concerne il punto di vista prettamente tecnico, i vantaggi prestazionali rispetto alle “vecchie” metodologie di controllo derivano dalle potenzialità offerte dal sistema basato su tecnologia GNSS: la capacità di conoscere la posizione esatta dei veicoli in qualsiasi momento una volta che essi entrano nel raggio d’azione, a fronte del rilevamento dei veicoli in un solo luogo, e quindi in un solo momento, permesso dai sistemi tradizionali si traduce in risultati straordinariamente efficaci.

Naturalmente, ad essere decisiva è la percentuale di veicoli strumentati sul totale circolante in rete: quando, infatti, il valore resta esiguo, assestandosi più precisamente intorno al 10% - 15%, il sistema resta in linea all’utilizzo dei sistemi di rilevamento fisici, limitandosi a privilegiare unicamente quei pochi utenti che ne aderiscono, e rivelandosi mediamente lievemente più prestazionale rispetto agli impianti semaforici caratterizzati da cicli statici. I cicli statici stessi, comunque, offrono performance paragonabili ai semafori adattivi quando il flusso veicolare non è uniforme, spesso risultando sorprendentemente addirittura migliori. Per quanto riguarda i rilevamenti tradizionali, le microsimulazioni rivelano che il sistema semi-attuato per volume/densità si rivela il migliore per i valori dei parametri di traffico, specialmente quando il flusso veicolare è equo, ma si dimostra la tipologia meno sicura in condizioni di traffico sbilanciato; il sistema basato su rilevamento mediante veicoli strumentati, invece, si dimostra tra i più favorevoli in assoluto per la sicurezza stradale già a partire da bassi tassi di penetrazione. La situazione cambia nettamente anche sui dati del deflusso veicolare, del ritardo e ulteriormente della sicurezza quando il tasso di penetrazione comincia a toccare il 20%: essi cominciano a distaccarsi fortemente da quelli di tutte le altre tipologie di ciclo semaforico, e lo scenario migliora ulteriormente man mano che questa percentuale sale, dimostrandosi eccezionale quando essa raggiunge il 30%. Una menzione a parte merita il tasso di penetrazione del 100%: seppur prevedibilmente irrealistico anche in un arco di tempo molto esteso, è indicativo sulle potenzialità estreme del sistema. Come visto, le percentuali più ragionevoli offrono parecchi spunti positivi, diventando sicuramente più vantaggiose e preferibili rispetto ad altri sistemi adattivi, ma la teorica diffusione massima di questa infrastruttura dimostrerebbe come la filosofia di funzionamento sia letteralmente di un’altra categoria; questo tasso di penetrazione equivarrebbe, sostanzialmente, a rilevare tutti i veicoli, ponendo il confronto a parità di numero di veicoli conteggiati.

L’assoluta bontà del sistema si manifesterebbe anche nella fase realizzativa, non richiedendo alcuna installazione invasiva sulla piattaforma stradale; gli interventi fisici si ridurrebbero all’installazione di poche unità di controllo in prossimità delle intersezioni e ad interventi di leggera entità sulle lanterne semaforiche, dato che si tratterebbe di mettere unicamente mano alle centraline. Si rivelerebbero particolarmente intense, invece, le operazioni da eseguire sulla parte software dell’infrastruttura, sia per quanto riguarda la progettazione ingegneristica sulle adeguate fasature e coordinamento delle lanterne, sia per quanto riguarda quella informatica sullo sviluppo dell’applicazione dedicata agli utenti della strada, ragion per cui il tutto si traduce in un’attenzione particolare da dedicare anche nella fase di manutenzione e tenuta in opera di questo sistema.

Si è visto chiaramente il potenziale rendimento di questa tipologia di infrastruttura sarebbe fuori discussione, e i benefici potrebbero coinvolgere l’intero complesso viario; tutto però è deciso dalla volontà degli utenti della strada, magari inizialmente spinti da vantaggi esclusivamente personali, e il cui spirito d’iniziativa sarebbe il carburante che permetterebbe al sistema di esprimere in pieno le sue capacità nei confronti di tutte le altre tipologie di controllo, e rendere il suo uso estremamente vantaggioso. Per cui, la concretizzazione del suo potenziale rendimento dipenderebbe “solo” dalla partecipazione da parte di chi occupa le strade tutti i giorni: semplicemente, quanti più conducenti farebbero parte del sistema, meglio reagirebbe la rete viaria nelle varie condizioni di traffico.

Sotto un diverso punto di vista, si potrebbe anche parlare di semplice senso civico, il cui obiettivo è ottenere benefici per tutti: questo strumento potrebbe contribuire alla infinita ricerca della responsabilizzazione da parte degli utenti della strada e affiancarsi ad una più pulita conduzione del proprio veicolo nei centri urbani, elemento comunque imprescindibile per una buona circolazione viaria.

E chissà, magari il caos infernale che regna incontrastato nelle ore di punta potrebbe divenire un lontano ricordo…


Ringraziamenti

 

Ed eccomi qua, a comporre le parole notoriamente più difficoltose e faticose di ogni tesi di laurea. Bè, se avessi un animo freddo e cinico, dopo aver trascorso questi mesi a riporre una certa attenzione nella stesura di quanto scritto finora, l’istinto mi suggerirebbe di buttar giù poche righe, ma dato che, fortunatamente, non so neanche cosa si prova ad avere un animo freddo, mi viene spontaneo dedicare un po' più di tempo e attenzione a questa parte; d’altronde, è proprio grazie alle tante persone speciali che mi sono state vicine per periodi più o meno lunghi della mia vita che non possiedo quel carattere distaccato che mi limiterebbe a reputare questa sezione solamente come un qualcosa di formale, ma è roba che non mi sfiora nemmeno. Perciò non posso liquidare con un banale “grazie a tutti” né chi di voi si fionderà senza troppi indugi a leggere queste parole dopo aver dato giusto un’occhiata alla copertina, né chi si interesserà a sfogliare qualcuna delle pagine precedenti, perché per me siete tutti da ricordare.

Comincerei dai miei splendidi genitori: la mia mamma e il mio papà, sostegni veri di ogni mio gesto in ogni mia giornata, perché basta la loro presenza e la loro fiducia a infondermi forza e sicurezza.

C’è poi la mia meravigliosa nonna Rosa, la cui premura si sente sia quando è sul divano sia quando è ai fornelli; d’altronde, è l’unica che si preoccupa sempre di farmi mangiare diciotto volte al giorno.

E la mia splendida nonna Antonietta, perché quando vado da lei c’è sempre da abbracciarsi, da ridere e, ovviamente, da mangiare qualcosa di buono.

Nonno Peppe, sempre raggiante ad ogni mio traguardo; sono orgoglioso di essere stato il bastone della sua vecchiaia, lui che contemporaneamente ha costruito i ponti della mia giovinezza.

Nonno Gino, che avrei tanto voluto conoscere meglio…

E Zio Rocco, zia Maria Laura, zio Lello, zia Anna, zio Franco e zia Vittoria, Zia Sina, Alessio, Luigi, Giovanni, Antonella e tutti gli altri miei parenti più lontani.

Carmen, perché anche solo pensare al suo sorriso mette tanto entusiasmo, però quando lei è con me e io con lei è davvero tutta un’altra cosa.

I miei amici di una mezza vita: Manuel, Marco e Massimo, che sono anche stati i miei coinquilini, e Alessandro, Andrea, Antonio, Enrico, Giuseppe, Luca, Mario, Pasquale e Silvio. Gli amici del mare: Alessio “piccolo”, Alessio “grande”, Giuseppe, Luigi, Martina, e Stefano. E poi gli altri due miei coinquilini, Antonio e Gianmarco. Tengo infine a ricordare Aldo, Alessandra, Antonio, Francesca, Martina, Roberta, Roberta, Samantha, gli amici del pallone e i ragazzi conosciuti nel mio periodo in Erasmus.

Un abbraccio a tutti i miei colleghi, in particolar modo a Francesco, Antonio ed Eleonora, e auguro un grosso in bocca al lupo per il proprio futuro a tutti quelli che ho conosciuto qui all’Unical.

Un grazie a tutti quelli che sono venuti qui a starmi vicino in questa giornata speciale, tra cui gli amici di famiglia più stretti, e quelli che non sono potuti venire qui ma che mi vogliono bene.

Ringrazio Dio, che mi ha dato i mezzi per arrivare qui oggi, perché più cresco più mi rendo conto che nella vita nulla è scontato.

In conclusione, ma non certamente “in fondo” per ordine di importanza, ringrazio il Professore Guido, che, con molta pazienza, mi ha aiutato a svolgere questa tesi di laurea, offrendomi il suo supporto ogni settimana e dimostrandosi sempre estremamente cortese e disponibile; una menzione va anche al Professore Astarita e all’Ingegnere Giofrè, che mi hanno assistito nella stesura della parte finale.